Ormai sembra un bollettino di guerra, al ferimento dei cani, ormai una costante delle battute, si aggiungono i sempre più frequenti incidenti ai cacciatori. Si susseguono le cariche dei cinghiali, che arroccati nei loro bastioni mostrano tratti tutt’altro che schivi verso l’uomo, fino ad aggredirlo come nelle storie antiche più spaventose. Da cosa dipende questa nuova e inattesa aggressività? Perché i cinghiali sempre più spesso preferiscono aggredire l’uomo che darsi alla fuga come erano soliti fare un tempo? Le ragioni di questa mutazione sono molteplici e non semplici da trattare. Proviamo a capire.
Le cause del cambiato comportamento dei cinghiali
Ho avuto il piacere di partecipare come ospite alla registrazione di una trasmissione video in cui l’argomento principale era proprio l’aggressività dei cinghiali che negli ultimi anni sembra essere divenuta una degli appuntamenti fissi delle battute. A farne le spese, sempre più spesso, non solo i nostri ausiliari ma anche tanti compagni di caccia che, in alcuni casi, riportano ferite gravissime. Le ottime considerazioni uscite da questo incontro lunghi dall’essere esaustive o scientificamente provate, ma sono un insieme di profonde e acute osservazioni che insieme compongono il mosaico di una caccia completamente trasformata negli ultimi anni e che, per molti tratti, deve fare i conti con la mutazione anche delle sue prede predilette: i cinghiali. L’osservazione viene da persone come noi che vivono la caccia nel profondo, all’interno della macchia, la godono e la seguono con innata passione e con grande spirito provano a capirne le evoluzioni nell’arco di una storia che vivono fin da bambini.
Le prime cause individuate sono anche quelle più comunemente riconosciute come motivi scatenanti la violenza dei cinghiali: la presenza dei lupi e il numero dei cinghiali in aumento. Va da sé che statisticamente, al crescere del numero dei cinghiali, crescono gli incontri, le seguite e gli scontri. Pertanto sia cani che uomini sono inevitabilmente sottoposti alle regole delle probabilità che aumentano il numero degli incidenti in modo automatico. La presenza di predatori raffinati e cinici come i lupi è un’altra delle ragioni per cui tanti si battono a difesa delle teorie sull’aumento dell’aggressività dei cinghiali. In effetti, la presenza del lupo e il modo di cacciare di questo astuto predatore, tiene in allerta i cinghiali costantemente, non lascia loro spazio a distrazione, fa crescere lo stress generale e li abitua a difendersi, lottare continuamente per la sopravvivenza, cosa che fino a qualche anno fa era per questa specie un’attività sconosciuta nel bosco. Fin qui siamo tutti piuttosto allineati, ma c’è dell’altro. Malgrado la legge lo vieti in molte aree si continua a foraggiare. Il foraggiamento dei cinghiali consente alle squadre di raggruppare capi in gran numero in aree spesso anche molto ristrette. I cinghiali che trovano, specie durante il periodo estivo, un luogo sicuro, ricco di foraggio e acqua, si insediano e prendono possesso dell’area divenendo animali più stanziali. Molti nascono all’interno di queste zone e non avendo bisogno di essere condotti dalle scrofe molto lontano per nutrirsi, non estendono il raggio di conoscenza del territorio, insistendo di fatto nella stessa piccola area. Giunti quindi alle prime battute, le zone ancora vergini ospitano branchi di cinghiali insediati mesi prima che offrono una resistenza impressionante prima di mettersi in fuga per raggiungere zone ritenute più sicure. A questo si aggiunge un’aggravante: la prolificità della specie e l’ormai consuetudine di partorire in ogni periodo dell’anno. Febbraio e marzo erano i mesi in cui buona parte delle scrofe davano alla luce i piccoli. Oggi vediamo sfrecciare striati nati da pochi giorni, rossi nati un mese e mezzo prima, anche in novembre, dicembre e gennaio. La presenza di femmine disponibili e cucciolate cosi fresche tiene i maschi dominanti e forti ancorati ai bastioni e le scrofe diventano inevitabilmente molto combattive e violente. Nella logica di questo studio, le ragioni che potremmo addurre cercando una spiegazione al caso non finiscono di certo qui. I cinghiali sono divenuti una presenza costante all’interno dei centri urbani, e non parliamo dei paesini immersi nella natura ma di città metropolitane in cui il caso di Roma è solo uno dei tanti che vive situazioni esasperate.
L’avvicinamento di questa specie all’uomo, e dell’uomo a questa specie attraverso imprudenti accostamenti ai piccoli, rende il rapporto tra bestie e uomini diverso da prima. I cinghiali non schivano più l’uomo, non fuggono all’odore avvertito a 200 metri come accadeva un tempo. L’odore dell’uomo è divenuto familiare, consueto, pertanto non più un elemento da fuggire, ma una presenza ormai costante nel bosco o altrove e una delle forme di vita presenti in natura con cui contendersi uno spazio. Farei un’integrazione alle considerazioni sull’aumento del numero dei cinghiali e sui lupi che li radunano in branchi per difendersi. Il cinghiale, nella storia della caccia e anche in quella ancestrale, è sempre stato descritto come un animale solitario, spesso spaventoso, una specie di mostro dei boschi avvolto dalla medesima visione mitologica che pervade l’immagine dei draghi in aria e dei grandi serpenti marini nelle mappe antiche. Il cinghiale è un animale “raro”, un abitante dei boschi molto più simile a un lupo che non a un maiale. Raramente, forse, mai, si parla di branchi di cinghiali, di mandrie, di gruppi cosi numerosi che allo sfilare sembra di ammirare un corteo infinito. Questo spirito di aggregazione crea alterazioni nella psicologia dell’animale e la vita di branco condiziona il comportamento dei singoli e li relaziona in modo diverso al resto del contesto naturale. Non siamo più di fronte al fantasma che sfreccia quasi invisibile, che fugge alla prima foglia calpestata dalla posta che sorniona si avvicina al fiocco posto dagli organizzatori della battuta. Tutt’altro, il cinghiale se ne infischia e continua il suo sonno vigile fin quando i cani non lo vanno ad insidiare.
Le tecniche di caccia e accostamento
Proseguiamo in questo lungo percorso aggregando osservazioni diverse e profonde sulla caccia al cinghiale. Non dobbiamo più sottovalutare lo stress ambientale. I cambiamenti climatici, che oggi condizionano e sempre più spesso condizioneranno il nostro stile di vita, sono divenuti una costante nel quadro della gestione naturale. Le variazioni di temperatura, i fenomeni improvvisi, la violenza e profondità con cui il clima incide sulla vita naturale muta i cicli degli esseri viventi, cosi come impatta su quelli della vegetazione. Sottopone la natura a uno stress sempre più difficile da gestire: siccità, alluvioni improvvise, mancanza di cibo per gli animali, alterazione dei parametri medi stagionali, sono elementi che nella zootecnia incidono sugli allevamenti e sulla resa degli animali da reddito, come vacche, pecore, maiali e pollame.
E’ indubbio che i cambiamenti climatici in atto siano un ulteriore stadio di pressione sui cinghiali. Un’altra sensazione che mi è parso di percepire è quella delle selezione fatta dall’uomo. Mi spiego: i cinghiali insistono in aree abbastanza vaste ma comunque circoscritte. I tratti somatici e comportamentali di molti soggetti si ritrovano e si ripetono in alcune aree perché quei soggetti hanno trasferito le loro caratteristiche ai figli. Nell’arco degli anni l’attività venatoria ha creato un processo di selezione dei cinghiali. Quelli che si riproducono sono quelli più forti, più astuti, più violenti e capaci di aprirsi una via di fuga e difendersi dagli altri animali, non certo i soggetti meno capaci. I primi sono proprio quelli che sopravvivono alle battute e quelli destinati a trasferire i loro geni alle cucciolate future. Cosi facendo si fissano caratteristiche dominanti dei soggetti più forti, Allo stesso modo noi allevatori di cani scegliamo i soggetti da far riprodurre a discapito di quelli più timorosi o meno capaci di farsi spazio nel bosco. E’ un aspetto minore che si accosta bene alla contaminazione con il “maiale” che in alcuni casi trasferisce ai cinghiali una capacità riproduttiva che non conosceva e un’aggressività di cui non era dotato. Di questo ne è prova la morfologia del cinghiale, il posizionamento degli occhi, le orecchie, il muso corto, la sagoma sempre più rettangolare e sempre più simile a quella dell’animale domestico che non al celebre e ormai quasi scomparso cinghiale maremmano.
Poi dobbiamo fare i conti con noi stessi, ovvero: con le tecniche di caccia e le condizioni estemporanee in cui spesso ci si trova a tentare il tiro a fermo. Le tecniche di caccia sono diverse da regione a regione, anzi direi da squadra a squadra. C’è chi lascia che i cani svolgano il lavoro di pressione sui cinghiali accompagnando la seguita con urla per indirizzare il cinghiale. Chi utilizza i paratori che posizionati ai margini della battuta dirigono i cinghiali evitando che sfondino le barriere sui lati più deboli della cacciata. C’è poi chi spara, ovunque, comunque e spesso, anche senza ragione solo per l’abitudine di rumoreggiare per la battuta generando tensione negli animali e inducendoli alla fuga. Alcuni hanno pochi canai, altri invece creano densità dentro la macchia e spesso circondano la rogaia dove si è barricato il cinghiale senza lasciare nemmeno una via di fuga alla bestia. Alcuni sciolgono cani in gran numero, altri preferiscono accostarsi alle rimesse con pochi cani sicuri cercando un’azione più chirurgica. Ognuna di queste tecniche produce un effetto diverso e pone il cinghiale in condizioni di agire in modo inatteso. E’ indubbio che insidiare i cinghiali nei loro ripari è un modo efficace per metterli in fuga ma se sfoghiamo una pressione eccessiva sugli animali senza lasciargli vie libere o sparando a pochi metri da una rogaia dove dentro 10 cani assediano un verro, va da se che l’animale si sentirà cosi schiacciato da reagire in modo inevitabilmente violento. La caccia al cinghiale deve muoversi su flussi di attività e azioni ben orchestrate, tra rumore, seguite, urla, avvicinamento dell’uomo deve esserci armonia, coordinamento, altrimenti non si innescano i processi che vorremo e gli animali entrano in una fase di agitazione incontrollata e reagiscono in modo violento. Il tiro a fermo poi apre uno scenario tutto a sé. È una tecnica che non si improvvisa, va eseguita con accortezza, sangue freddo e accuratezza. In particolare se il cinghiale è ferito e ci consente di avvicinarlo moltissimo. Il rischio in quelle circostanze è elevato e spesso il canaio, anche per evitare che i cani siano feriti da una bestia inferocita, si getta nella mischia senza prendersi i tempi giusti e analizzare a sufficienza la situazione. Sbagliare il vento, il punto di ingresso nell’area di difesa del cinghiale, non accorgersi di essere sull’unica traiettoria utile all’animale per tentare l’ultima fuga, accostarsi dal basso e non dall’alto dove un animale ferito fa più fatica a salire, sono dettagli che anche tra i più esperti spesso possono giocare brutti scherzi. Insomma, il tema dell’aggressività dei cinghiali come abbiamo intuito è molto complesso. Ognuna di queste ragioni partecipa a descrivere una situazione attuale di crescente interesse e un problema che affrontiamo sempre più spesso. Non c’è una soluzione a questo nuovo stadio della caccia al cinghiale, solo prestare massima attenzione, proteggere i cani con giubbotti protettivi che limitano i danni e lasciarli cosi lavorare perché siano loro, sempre più spesso, a tirare fuori dalla rogaia il cinghiale e non il cacciatore a doverlo andare a prendere.