Fiction and Reality
Nella mia personalissima Top Ten a livello cinematografico, ci sono solo film d’avventura a sfondo storico. Fra questi, un posto di primissimo piano spetta sicuramente a “L’ultimo dei Mohicani”, capolavoro assoluto tratto dall’opera omonima di Fenimore Cooper. Protagonista (al di là del titolo) ne è il grande Nathan “Natty” Bampoo, alias “Calza di cuoio”, alias “Occhio di Falco”, alias “Long Carabine”. Uno che con tre soprannomi come quelli, non si fa fatica a immaginare quale straordinario cacciatore e tiratore, e difatti...
La scena del film si apre con lui che - bianco - assieme al padre ed al fratello adottivi (due Mohicani) cacciano un magnifico cervo fra forre, radure, strapiombi e torrenti di un’immensa foresta. La fiera preda, dopo sagace accostamento e attimi concitati d’inseguimento, sarà presa con un preciso tiro di Natty!
Eccola che corre, salta fra gli alberi, appare, scompare come una saetta, Nathan prende attento la mira, e al momento esatto calcolato il giusto anticipo... Boom!
Un colpo pulito, senza incertezze, che ferma sul posto l’animale causandone immediato decesso.
Emozione allo stato puro, avventura in forma sublime: la quint’essenza della caccia. Tanto che immediato è il rituale collettivo di omaggio allo spirito dell’animale sulla spoglia. Insomma, tanta roba.
Poco da dire, se non che è una vita che, come spesso mi capita, sogno di poter vivere in primissima persone emozioni e storie come quella.
No, non è impossibile...
...Qualcuno e già da un pezzo infatti, ha costruito “le macchine del tempo”!
A tutta AVANCARICA!
Le armi usate nel film - e non solo in quello, ma praticamente in tutti quelli storici - non sono infatti meri oggetti di scena, ma vere e proprie repliche esteticamente fedeli alle originali. Certo, quelle sui set cinematografici non sparano proiettili veri, ma le altre, quelle che usiamo noi...
Il vertice del know how al riguardo, è ovviamente italiano! E ancora più ovviamente, gardonese! Pedersoli: un nome, un mito e una leggenda. Il principale produttore al riguardo, senza se e senza ma. In una tradizione che si tramanda da generazione da padre in figlio. Oggi sono infatti Pierangelo e Stefano che hanno le redini dell'azienda Davide Pedersoli & C., nel cuore della quale si producono per la gioia di appassionati d’ogni continente, repliche perfettissime, capaci di performance che chi non sa, non può nemmeno immaginare.
Ovvio che quando mi è arrivato l’invito per una caccia riservata al cinghiale, di colpo l’idea mi balzasse in testa: “e se mi presentassi con un express ad avancarica...?!?”
Detto, fatto: in men che non si dica ero a Gardone, in Pedersoli, con Stefano per scegliere l’attrezzo che avrei portato con me, a cinghiali, in una due giorni sotto il segno dell’avventura, nella quale in breve venne coinvolto l’intero staff di all4hunters.com...
Training (and dreaming...)
La sera avanti la battuta, ci siamo cimentati in lunghissime sessioni di familiarizzazione con l’avancarica e la procedura di caricamento dell'arma.
L’approccio è elementare, in tre minuti capisci tutto e vai senza problemi. Prima butti giù nella canna la carica predosata di polvere nera poi, sopra di questa, con l'aiuto della bacchetta di caricamento, spingi giù nella canna il proiettile, rigorosoamente in piombo puro.
Se il fucile è un monocanna, siete a posto così. Se invece è un Express a due canne, come il Pedersoli Kodiak Mark VI in calibro .50 che abbiamo provato, allora non dovete far altro che ripetere la sequenza di caricamento due volte, per ciascuna delle due canne.
Una volta caricate le canne, non vi resta che innescare l'arma: inserendo una capsula d'innesco su ciascuno dei luminelli - uno, nel caso dei fucili monocanna, due nel caso dei fucili a due canne.
Può sembrare tutto molto laborioso, e per certi versi lo è, ma spesso il problema è riuscire a...SMETTERE!
Eggià... Confezioni di palle di vari calibri, tipologie e peso, varie armi da provare, dosi di polveri e borraggi pronti, inneschi a volontà: e di là, barattoli e assi di legno da “prendere a sassate”... Dio, che gusto!!!
Fumo e arrosto in una volta sola. Non troppo del primo (meno di quanto immaginassi), tantissimo del secondo, fatto di efficacia balistica assoluta.
La precisione: dopo due o tre colpi di approccio con il singolo attrezzo, una cosa da non credere, fatta di rosate di 5-10 centimetri a 30/40 metri, sparando d’imbracciata!
La capacità lesiva (analisi empirica): assi di 8 centimetri trapassati, dopo aver bucato da parte a parte barattoli pieni di terra con palle da 400 grani in piombo tenero!
Performance capaci di far ipotizzare anche al più scettico un approccio con cinghiale più che sereno! E difatti...
La battuta
Il giorno dopo sono sul campo. Mi viene affidata la posta 9, con Massimo nel ruolo di back-up gun. La prassi è la solita, segugi che battono, canai che li seguono e aizzano, postaroli che attendono col cuore in gola.
Nelle fasi di attesa, mentre ancora non si ode la canizza, provo a buttare su l’arma fingendo tiri d’imbracciata. Un tronco, un sasso, una macchia sul prato sono i miei bersagli immaginari.
I cani del Kodiak Pedersoli, per l’occasione armato con due palle Hornady Monoflex da 250 grani sotto calibrate con sabot di guida, sono in posizione di riposo, quindi la sicurezza è più che assoluta e la concentrazione può essere totale.
Due sensazioni su tutte: il peso dell’arma non è certo lieve, ma non impaccia, anzi, da un senso di sicurezza piacevolissimo che si traduce anche in maggiore stabilità in punteria.
Un’unica considerazione mi desta qualche perplessità: la versione che impugno oggi, ha canne abbastanza corte, mentre il prato che ho dinanzi, si apre per quale che centinaio di metri a smarginare il bosco in ogni direzione. A dire, potrebbe capitare di dover tirare lungo, occasione insomma più da canne lunghe, e difatti...
Di colpo la canizza impazza, e prende a montare. Verso la mia posta.
Ecco, dubbi zero, sale proprio verso di me, dalla parte poi dove il bosco e a ceduo e la macchia è spoglia. Armo i cani dell’express, mentre sento l’adrenalina che inizia a scaldare il sangue ed i pensieri.
Due, tre minuti d’attesa, ed ecco che annunciati dal montare della canizza dei tigrati, arrivano i cinghiali. “Puntate dritti, puntate dritti...!” E invece no. Escono sul margine del prato, per poi pigliare lungo l’argine del bosco, al fine di guadagnare la foresta dall’altra parte.
80/100 metri... “tiro, o non tiro? ...tiro!”. Ma miro male, e lascio la più indecisa delle botte che naturalmente va a piantarsi per le terre chissà dove...
Inutile cercare tracce di sangue, inutile ogni cosa: ho padellato, ed è tutta colpa mia.
L’occasione è svanita. Si cambiano le poste e ovviamente, ricarico il fucile con un incazzatura che potete facilmente immaginare.
Dream comes true... (nei panni di Nathan!)
Cambio di scenario. Dopo un'attesa che si fa troppo lunga, decidiamo di lasciare la posta, decidiamo di muovercii, proseguendo la caccia alla cerca.
Siamo nel bosco ora, nel fitto. Sopra un torrente. Scorgo tratturi di cinghiali, e capisco perché anche qui siano state realizzate delle poste.
Rimimo i tiri, cerco di acquisire le linee e le distanze, calcolo anticipi e immagino scenari. Il tutto, mentre vengo rapito dalla bellezza assoluta del teatro naturale in cui mi trovo.
Caccio sempre anche con le orecchie, e un po’ mi infastidisce lo scroscio dell’altrimenti meravigliosa cascata che si tuffa alle mie spalle...
Dopo attimi d’attesa, la battuta riparte.
Tre volte prova a partire, tre volte si arresta. Poi, attimi in cui non sento nulla che diventano decine di minuti.
Di colpo, arriva uno dei tracciatori trafelato, che mi avvisa che mezzo chilometro a valle, i cani stanno abbaiando a fermo, ed è bene che mi dia una mossa...
È qui che scatta una specie di miracolo.
Noi che corriamo fra i boschi, su e giù, danzando quasi fra le fronde e i rami e gli scoscesi (grazie Dio, per avermi fatto atletico!), gli alberi e gli scenari, che si alternano uno via l’altro, ed io che mi palleggio fra le mani, sempre in cerca d’equilibrio il mio express...
Fra il mio respiro forte e il cuore che mi martella nelle vene, ecco che finalmente sento i cani che abbaiano a fermo, 150 metri sotto e certamente di là dal torrente.
Ok, nel film i cani non c’erano, qui sono cinghiali invece di un cervo, lui non è un pellerossa e nemmeno io sono Natty Bampoo, ma porca bestia, la sensazione di vivere la stessa, identica scena da protagonista, è talmente forte da essere scioccante!
A gesti ci diamo i compiti: lui salterà di là del torrente per andare dai cani e incalzare i cinghiali verso di me, io raggiungerò il posto più utile per cercare di sparare.
Schizziamo uno per parte...
100, 50, 15/20 metri, eccomi sul torrente, dall’altra parte i cani che abbaiano fra un coacervo verde di cui non distinguo nulla.
Uno? Un branco? Quanti saranno?
Provo a scrutare, ma è tutto inutile.
Di colpo al coro dei cani, si uniscono le grida degli uomini.
E come sempre succede tutto in un lampo. I cinghiali (erano un branchetto) si buttano verso il fiume ed irrompono sotto di me, verso destra.
Ne miro uno, il più scuro fra i porcastroni, e lo fermo lì dov’è con un tiro di precisione questa volta assoluta. Crolla, si stoppa sul posto, come fosse andato a sbattere contro un muro di cemento, ed invece era una palla perfettamente indirizzata con angolazione alto/basso alla spalla sua sinistra, un poco verso il collo.
Ecco, è finita. Scendo in basso e mi raggiungono anche gli altri. I complimenti di rito. Il rituale di omaggio alla spoglia e al cacciatore che avviene in fondo al fosso, nel torrente. Il tutto fra il profumo di polvere bruciata, diffuso da una nebbiolina azzurra che infonde al tutto un senso di magia.
Non è una bacchetta magica che l'ha creata, ma il Kodiak Pedersoli, un’arma particolare, efficacissima, letale. Non di meno, portatrice di poesia e piacere puro, che si fa difficoltà a crederci.
Come sempre capita con le fiabe e le leggende, solo tali per chi è ancora capace di credere e sognare!