Un’ombra schiva e velocissima sorvola un campo di girasoli che tentennano scricchiolando ormai maturi alla brezza delle prime ore del mattino. L’estate che ti porge il suo saluto lasciandoti all’ebrezza di una stagione che vede il suo nuovo inizio. È forse questo il fascino della tortora che riesce ad ammaliare il cacciatore e convincerlo ad aspettarla con gli occhi pieni di sogni nella campagna assolata per la voglia e la gioia semplicemente di essere tornato a viverla. Tantissimi sono quei cacciatori che conservano ricordi di bellissime aperture di caccia a questo estatino che poi con il tempo hanno visto cambiare il proprio nome per essere definite preaperture e svolgersi in realtà con calendari dai tempi sempre più ristretti e completamente incoerenti con la caccia e l'etologia di questo selvatico. Quale la ragione logica o scientifica? La tortora selvatica, dunque la streptopelia turtur, è una specie a rischio o sono soltanto limitazioni e di fatto in molte aree completi divieti posti in essere per assecondare prese di posizione ideologiche di chi vorrebbe solo a rischio la caccia? La risposta non è banale, va valutata attentamente e come sempre la realtà rischia di collocarsi molto più nel mezzo di quanto non sembri.
La tortora
È un selvatico diffuso sebbene in modo non uniforme in gran parte dell’Europa dove nidifica, mentre sverna in Africa centro-settentrionale, uno fra i pochi migratori di cui si registra la presenza anche a sud del deserto Sahara. In Italia è selvatico estivo, per questo indicato tra i cacciatori come estatino e di doppio passo (arriva alla fine di aprile e inizia la migrazione verso i siti di svernamento nella seconda metà o in caso di stagioni calde e stabili alla fine di agosto per terminare in settembre). La tortora è monogama e le coppie si riproducono due volte l’anno tra maggio e luglio deponendo solitamente due uova in nidi costruiti presso alberi e siepi di media altezza dove si alternano il maschio e la femmina alla cova e in seguito alla cura dei nidiacei. Come la maggior parte dei columbidi la tortora predilige le zone alberate o boscose come luoghi di rifugio e nidificazione, opportunamente intervallate da zone coltivate dove può rintracciare le sue principali fonti di sostentamento che sono le granaglie, i semi di erbe naturali o derivanti dalle coltivazioni e i cereali. Fondamentali anche per la permanenza delle tortore, i punti di abbeverata che possono essere rappresentati da corsi d’acqua, fossati o sorgenti presso i quali si reca costantemente a più riprese nel corso della giornata. Di questo sono consapevoli i cacciatori che vedono nei fossati alberati e le sponde dei fiumi le postazioni ideali per l’attesa del passaggio delle tortore.
Problematiche ambientali e incoerenze gestionali
Come per molte altre specie e come purtroppo sempre poco spesso viene ammesso, sulla riduzione della popolazione generale della specie tortora hanno inciso molteplici fattori fra i quali la caccia non occupa il primo posto. L’inquinamento portato dall’uso in agricoltura di insetticidi e diserbanti ha avuto come pesantissima conseguenza non soltanto quella di compromettere la qualità del suolo rendendo molti campi fatali per i selvatici che si cibano nelle aree coltivate, ma ha privato la tortora come altre specie degli insetti, dei germogli e delle larve di cui si cibano nel periodo primaverile cruciale per la riproduzione. In questi mesi i semi coltivati e i cereali non sono giunti a maturazione e in campagna nel periodo sensibile della riproduzione sono pochi gli elementi sani disponibili di cui nutrirsi e soprattutto con cui nutrire i piccoli. Questo è stato dimostrato dagli studi, non molti a dire il vero e i progetti dedicati alla tortora portati avanti da alcuni paesi in Europa, soprattutto l’Inghilterra. Il mutamento dell’ambiente rurale non più variegato e contraddistinto dalla presenza di siepi fra le colture, prati naturali e boschetti custoditi ha visto rarefarsi anche le condizioni ottimali per la nidificazione delle tortore. Queste a differenza del simile colombaccio sembrano non avere la stessa capacità di adattamento ai cambiamenti ambientali. Un ambiente privo di gestione, dunque non compatibile con la presenza dei selvatici ma volto soltanto alla produzione agricola intensiva non danneggia come si potrebbe ingenuamente pensare soltanto le popolazioni di fauna stanziale, ma vede mancare le condizioni di sosta e riproduzione anche e soprattutto per le specie selvatiche in migrazione, ancora più sensibili ai mutamenti ambientali e alla presenza invasiva dell’uomo in natura. Questo può farci pensare anche alla sempre più rara sosta e nidificazione delle quaglie in alcuni luoghi ormai considerati da questi selvatici sfavorevoli alla riproduzione e invece alla loro abbondanza nei paesi con minore impatto antropico. Il bracconaggio indiscriminato operato soprattutto nei paesi dell’Africa settentrionale nei confronti delle tortore spesso vittime delle reti ha poi contribuito in modo negativo e continua senza dubbio a farlo. Questo ci apre la strada verso alcune riflessioni sulla tutela di questo selvatico. Nei paesi membri della Comunità Europea la tortora non è ovunque cacciabile e dove ancora rientra fra le specie cacciabili lo è in periodi sicuramente non vocati alla presenza della specie, con poche giornate di caccia nei primi periodi di settembre nei quali quasi ovunque le tortore sono già ripartite per i quartieri di svernamento. Dalla fine degli anni 60 è giustamente vietata la caccia primaverile, quella che a parere di chi scrive era da considerarsi una inconcepibile follia, dato che venivano prelevati esemplari adulti in procinto di riprodursi. Questa pratica indiscutibilmente nefasta può considerarsi ormai bandita, resiste ancora fra le dovute polemiche in alcune limitate realtà come nel caso di Malta. Questo dovrebbe suggerirci di risolvere in modo coerente la programmazione di una caccia sostenibile e realistica evitando imbarazzanti incongruenze che riguardano situazioni geografiche spesso vicine ma gestite in modo diametralmente opposto. In ogni caso, osservando il relativo quadro generale, quella della tortora è una situazione che vede il prelievo ormai da decenni limitato e dovrebbe coincidere con un incremento della specie che invece a quanto sostenuto dalle ricerche sembrerebbe in condizione stabile e tendente al declino. Questo ci suggerisce che i fattori su cui intervenire senza più possibilità di scelta sono quelli ambientali dai quali non si può prescindere cercando sempre inutilmente di trovare come unica soluzione quella di incriminare l'attività di quei cacciatori che da tempo lamentano le condizioni di inadeguatezza e distruzione degli habitat ricevendo come risposta soltanto la negazione della realtà e la messa al bando della propria passione. La tutela della tortora non può passare soltanto attraverso l'attacco ideologico ai cacciatori che di fatto vedono ormai il periodo del prelievo solo scritto sul calendario venatorio senza vedere più le tortore ormai migrate. La reale tutela del selvatico richiede impegno e onestà intellettuale da applicarsi attraverso politiche di tutela del paesaggio rurale e dei suoi componenti che la caccia di certo non ha mai ostacolato.