Frequentare la sua regale dimora è forse il più grande privilegio che la coturnice concede a cacciatori e cani. Il senso di libertà e di pace che si può vivere durante l’esplorazione dei monti anche nei versanti più aspri che ospitano questo selvatico rendono questa caccia un’attrazione fatale per uomini disposti senza dubbio al sacrificio ma capaci ancora di sognare. Spesso la contemplazione dell’ambiente e della ricerca impegnata dei propri cani sono gli unici risultati già di per sé appaganti per gli appassionati ma ovviamente si sale in cima per cercare selvatici e quando l’incontro con la brigata si concretizza i ricordi restano senza dubbio indelebili. Le poche fucilate che inseguono le cotorne verso valli e precipizi hanno sempre il sapore di un grido liberatorio che arriva dopo estenuanti salite e guidate dei cani che il cacciatore segue con il cuore che pulsa in gola. Colpi che rompono un silenzio sacrale “come bestemmie tirate davanti ad un altare” narrava Annibale Bocchiola, ma rappresentano il meritato premio per cani e uomini che hanno sacrificato tutto per essere pronti a quel momento. Cacciare consapevolmente è doveroso ma non è il cacciatore che ha preteso di vedere ridotto l’ambiente idoneo alla specie e dunque i numeri della coturnice. Vorrebbe dire per molti rinunciare alla propria felicità, chi se non un folle lo vorrebbe? Soltanto un disinteressato è capace di sciupare qualcosa che poco apprezza e di cui poco conosce. Arriviamo dunque ai tristi protagonisti che per progredire nei propri scopi non rinunciano invece alla soppressione incondizionata di ciò che li circonda: la tecnica e il denaro.
L’abbandono dell’economia legata agli ambienti rurali e montani, la pastorizia, l’agricoltura differenziata e non intensiva non consentono anche a chi ancora vorrebbe di poter vivere in montagna se non con difficoltà continue legate a politiche di gestione insufficienti a tutelare e mantenere in salute categorie di produzione continuamente esposte alla concorrenza indiscriminata del grande mercato. Così, eccetto pochi ammirevoli esempi i territori montani hanno visto in Italia l’inesorabile ritirata del popolo rurale dei pastori e con loro sono venuti a mancare tanti elementi che favorivano la proliferazione delle coturnici in montagna. Soprattutto nel caso dell’allevamento bovino, i germogli dei prati brucati ,la pulizia svolta dal passaggio delle mandrie negli areali più alti nei confronti dell’avanzamento del bosco e degli arbusti, non ultimi anche gli escrementi e i tanti insetti presenti, offrivano alle nidiate possibilità di alimentazione e sussistenza. Dove è possibile rintracciare ancora queste forme di allevamento e agricoltura differenziata come nel caso lodevole della Ragione Lazio in italia che si è impegnata in operazioni di ripristino ambientale e agricolo in alcune zone dell’Appennino o nelle regioni montuose dei Balcani che spesso frequento con i miei cani, le brigate di coturnici sono presenti come una regola e non come un’eccezione scampata alle avversità.
Quale coturnice?
Evitare errori nella valutazione delle diverse sottospecie dunque delle abitudini e degli ambienti frequentati è un passaggio fondamentale per la tutela della biodiversità di ceppi autoctoni di coturnici. Ne esistono quattro sottospecie diverse: Alectoris graeca graeca (Meisner, 1804) - si trova soprattutto nei Balcani; Alectoris graeca orlandoi Priolo, 1984 - diffusa nella penisola italiana; Alectoris graeca saxatilis (Bechstein, 1805) - vive nelle Alpi, in Slovenia e nell'Appennino settentrionale; Alectoris graeca whitakeri Schiebel, 1934 - endemica della Sicilia. Per quanto riguarda le coturnici dell’Appennino risultano avere molte affinità con le coturnici balcaniche sud orientali ma essendo attualmente isolate e indipendenti dalle altre popolazioni hanno un alto valore naturalistico da preservare. L’insidia maggiore è rappresentata dalla coturnice orientale l’Alectoris Chukar spesso utilizzata nei ripopolamenti e capace di ibridarsi e dunque contaminare la coturnice appenninica. Occorre un’osservazione attenta delle due sottospecie per evidenziarne le differenze morfologiche ma alcune sono senza dubbio più visibili di altre come il differente collare nero che attraversando l’occhio arriva al sottogola con un disegno più tondeggiante e circolare nel caso della coturnice mentre più marcatamente acuto con estremità a V nella Chukar.
Anche intorno al becco sono riscontrabili nella coturnice appenninica le cosiddette redini cioè delle bordure nere intorno al becco che invece mancano nella Chukar. Il colore delle guance e della gola è bianco nelle coturnici e più tendente al fulvo nella Chukar come le barre delle piume laterali che sono più strette e regolari nella nostra coturnice rispetto a bande più larghe della orientale. Particolari, dettagli alla vista che però celano grandi differenze biologiche fra le sottospecie e che vanno pertanto tutelate e incrementate non con introduzioni rischiose ma con il ripristino quanto più possibile dell’unico elemento davvero necessario ad un selvatico per prosperare; un habitat capace di assicurare cibo e riparo per mantenere congrua e stabile la riproduzione e darci la possibilità di vedere cani ansimanti e inebriati dalla passione guidare in punta di piedi per arrivare a vivere per molto tempo ancora questo amore eterno fra le rocce.