Occorre forse tornare all’etimologia del termine nostalgia per giustificare il moto profondo ed autentico che le opere di Roberto Lemmi possono suscitare allo sguardo contemplativo di un cacciatore e non solo. Nostos, una parola con cui gli antichi Greci indicavano il viaggio di ritorno, quindi un cammino verso casa e le proprie origini. La nostalgia suggerita dalle opere di Lemmi non è semplicemente un rimando a tempi in cui sono palpabili nei suoi soggetti la libertà e l’entusiasmo di cui godevano in Italia gli amanti della nostra passione. Nei colori e nei paesaggi descritti da questo artista ogni cacciatore italiano probabilmente può ripercorrere le fasi del proprio cammino di formazione, attraverso i diversi ambienti e altrettanti momenti di caccia tutti ci troviamo ritratti. Chi davanti ai colori decisi e agli attimi catturati con tocco sapiente e genuino dal grande pittore toscano non si sente coinvolto e letto nell’anima attraverso stagioni, atmosfere, odori perfino, intimamente sentiti e vissuti e mai così perfettamente descritti o immaginati? Quale appagamento per l’occhio curioso del cacciatore nel vedere un’azione di caccia dalla prospettiva del selvatico in fuga o colpito. Prospettive solo oniriche e per natura presupposte dal cacciatore che grazie a Roberto Lemmi prendono invece forma e soprattutto anima.
In altre parole, ogni dipinto o disegno di Lemmi, suggerisce dettagli di attimi fugaci e quotidiani apparentemente irrilevanti che assumono invece il valore di frammenti storici dal valore universale. Un afflato struggente che può far ritrovare nell’occhio languido di una beccaccia i tramonti delle sue terre lontane, nello sguardo terrorizzato di una lepre in fuga l’eterna contesa naturale fra la vita e la morte, nel frullo di una brigata di coturnici la precarietà di un volo verso l’abisso. Come poter negare che un momento di caccia alle anatre osservato a Dicembre nelle sue opere non costituisca per la mente un preludio al Natale e un volo di fagiani o la ferma di un cane su quaglia non rappresentino l’estate in un’esplosione di colori che in agosto potrebbero condurti fino al tuo armadio rovistando cartucce e sognando la prossima apertura da godere.
In questo continuo rimando di attimi e rituali di cui la caccia si nutre, vive l’immortale messaggio che Lemmi ci ha lasciato fermando nello spazio e nel tempo il senso profondo di appartenenza alla terra e alla natura che coinvolge i cacciatori di ogni epoca. Gli occhi e i colori con cui Lemmi ha saputo riprodurre momenti di caccia e natura, sono un inno alla vita rurale e selvaggia che sa essere sorprendente anche nella sua quotidiana e apparente semplicità.
Per questo troviamo ritratti anche selvatici non propriamente di interesse venatorio, appunto perché il cacciatore è un naturalista non necessariamente legato alla preda. Le sue opere si muovono tra atmosfere oniriche e realismo estremo.
Voli di anatre nella pioggia sono capaci di farci sentire per la durata di un brivido sulla pelle la spinta del vento gelido del nord e la sua forza impetuosa che avvolge il padule, lo sguardo di un cane sorpreso durante un riporto ci comunica la sua gioia tornando dal cacciatore, la paura di una lepre in fuga dal proprio covo è palpabile mentre all’orizzonte si intravedono i segugi in arrivo. Momenti descritti con tale profondità e perfezione nella resa del movimento e del contesto naturale che non nego di aver spesso cercato a canone inverso di rivivere durante la caccia e non ricordare.
Non è raro che in luoghi particolarmente suggestivi mi fermi ad osservare il cane cercando di ritrovare nella realtà le immagini che le sue pennellate hanno inciso nella mia mente, descrivendo la fine di alcuni momenti come “scene da Lemmi”.
Ero un bambino quando nel mio angolo in cucina restavo a fissare i dettagli di quelle immagini che trovavo nei vecchi numeri di Diana conservati in casa e vedevo rappresentati fedelmente quasi fino a sentirmi spiato, gli istanti e i particolari che la campagna quotidianamente mi regalava nelle mie continue uscite solitarie armato di arco o fionda alla ricerca di qualsiasi forma selvatica.
Io forse non l’avrei concesso, ma mio padre, animo generoso che già aveva colto il principio di una passione impossibile da arginare, mi lasciava perfino ritagliare quelle immagini dalle sue riviste credo divertendosi nel vedermi incollarle sulle copertine dei miei libri di scuola. Anni in cui, al contrario di quelli descritti da Lemmi, essere aspiranti cacciatori iniziava a creare i primi imbarazzi in una società sempre più ipocrita e contraddittoria, capace di accettare con molta più disinvoltura l’odio e la morte fra uomini rispetto ai normali rapporti fra prede e predatori che da sempre regolano la natura di cui siamo inevitabilmente parte e noi cacciatori non vogliamo di certo rinnegarlo, anzi andiamo consapevolmente fieri.
L'artista Roberto Lemmi
Il pittore e illustratore Roberto Lemmi nasce il 24 marzo 1901 a Firenze e vede la propria vita divisa fra due grandi passioni, l'arte e la caccia. Giustamente considerato uno dei maggiori pittori animalier europei del Novecento studia all'accademia delle Belle Arti di Firenze dove si distingue per l'abilità nel disegno come naturalista. Nel corso della sua carriera il suo contributo arriva in realtà anche in altri ambiti come illustratore di libri e autore di importanti manifesti pubblicitari per note aziende italiane come Fiat, Piaggio, Beretta. L'incontro che diede la svolta decisiva alla sua carriera artistica fu quello alla metà degli anni Trenta con Enrico Vallecchi, storico editore della rivista Diana e raffinato cacciatore che volle Roberto Lemmi come illustratore della rivista. Un sodalizio culturale durato fino al 1971 anno della morte dell'artista e che conta più di cinquecento opere tra dipinti e illustrazioni realizzati con le diverse tecniche da Lemmi; olio, tempera, acquerello, china e più di settecento disegni. Uomo eclettico Roberto Lemmi anche se esperto naturalista e appassionato cacciatore volle comunque distinguersi come artista poliedrico offrendosi come illustratore di molti libri di narrativa per ragazzi. Fra i libri illustrati spicca senza dubbio anche I selvatici visti da vicino, realizzato in collaborazione con il giornalista e scrittore Piero Pieroni, unico ad essere riuscito ad intervistare in vita Roberto Lemmi, uomo schivo e riservato che a quanto pare ha sempre dimostrato attraverso le immagini la propria sensibilità più che con le parole. Allo stesso Pieroni nell'intervista Roberto Lemmi ha dichiarato di non aver avuto maestri, ma di essersi ispirato direttamente alla natura, ammettendo di apprezzare comunque alcuni pittori europei come il francese Oberthur e il britannico Peter Scott. Attualmente la più importante raccolta di opere, riviste e libri illustrati da Roberto Lemmi è conservata nel Museo Civico di Storia Naturale di Jesolo (VE). Le immagini che vengono proposte in questo articolo provengono dal libro Nel Segno di Diana, Roberto Lemmi pittore e illustratore della natura. (Editoriale Olimpia).