Difficile da evitare l’attenzione che può attirare un solo colpo di fucile di un uomo che cammina in campagna coi propri cani. Molto più inosservati allo sguardo e all’ascolto passano i mezzi agricoli intenti nelle operazioni di sfalcio e di mietitura che con qualche piccolo ma fondamentale accorgimento potrebbero svolgere nello stesso modo il proprio lavoro senza lasciare molto spesso vittime dietro il loro passaggio. Inutile ricordare i tempi della rotazione agricola in cui cibo e rifugio non mancavano mai in una campagna davvero amica dove la vita brulicava senza sosta né pericoli. L’avvento delle monocolture intensive ha ormai da anni almeno dimezzato la varietà del paesaggio, riducendo le possibilità di alimentazione e rifugio per la piccola selvaggina nelle campagne. A sostegno di raccolti sempre meno sani ma più abbondanti è arrivata l’industria chimica, con i suoi pesticidi, erbicidi e diserbanti di ogni genere capaci di cancellare quasi ogni forma di erba spontanea e insetto, fondamentali per nutrire i nidiacei della piccola selvaggina. Qualora non bastasse, ciò che è sopravvissuto alla carenza alimentare ha trovato nel suolo inondato di sostanze chimiche la morte per avvelenamento. Ne sono un esempio i tanti passeriformi che non rappresentano selvatici di interesse per i cacciatori ma versano in uno stato di declino irreversibile o sono completamente scomparsi a causa delle abitudini terricole nel suolo inquinato. Nessun cacciatore sarebbe stato capace di svolgere un’azione tanto capillare e nefasta, appunto perché la sua passione è quella di cercare, trovare e infine cacciare per poi ricominciare, senza mai compromettere il capitale naturale che è fonte della propria felicità. Il suoi interessi sono l’emozione dell’incontro e la predazione svolti in un ambiente ricco di vita e di selvatici, non la ricerca della morte in un deserto disabitato.
Ovviamente l’intensificazione delle monocolture non è stata una scelta per tanti agricoltori che sono stati le prime vittime di un sistema economico in cui la rapidità e la quantità dei raccolti devono in ogni caso cercare di contrastare una concorrenza asfissiante e spesso impari nei mercati, con dei ritmi che faticano a mantenere un rapporto di simbiosi con la natura e gli eventi collaterali delle sue stagioni come appunto le stagioni riproduttive dei selvatici. In un momento storico che vorrebbe nelle intenzioni e nelle dichiarazioni mediatiche premiare qualsiasi iniziativa "green"; non è previsto nessun incentivo volto a sostenere la moderazione della velocità nella lavorazione dei terreni che sembra rendere inevitabili anche le minime soste o gli accorgimenti che potrebbero salvare ciò che resta delle nidiate durante la raccolta meccanica dei cereali e lo sfalcio dei prati nella stagione estiva. Vediamo quali sono le attenzioni e i pochi strumenti necessari a salvare tante nuove vite in campagna. I bordi dei campi di erba medica sono ancora fra i luoghi più frequentati e scelti dai selvatici per la costruzione dei nidi e la deposizione delle uova. Non solo; quando queste bordure si trovano in prossimità di boschi è molto alta la probabilità di trovare piccoli di lepre o ungulati come i caprioli che vengono lasciati dalle femmine durante il giorno, nascosti nelle erbe alte per occultarli alla vista dei predatori incapaci di percepire la loro emanazione. L’immobilità è l’unica tecnica di difesa possibile per i piccoli che completamente mimetizzati al suolo contano di evitare la minaccia in avvicinamento passando inosservati. Quando la minaccia è però rappresentata dall’avanzare delle lame dei mezzi agricoli che procedono in modo uniforme sulla superficie dei terreni, non c’è possibilità di salvezza. O meglio ci sarebbe, con un minimo di impegno e sacrificio che dovrebbero essere incentivati e coadiuvati anche dagli enti di gestione del territorio a cui la sopravvivenza delle specie selvatiche dovrebbe più che mai stare a cuore. Siamo consapevoli che queste misure sono raccomandate o richieste in alcuni comprensori ma dovrebbero risultare inevitabili se si vogliono preservare le future generazioni di selvatici.
Provvedendo al montaggio di semplici barre di involo, costituite da un’asta metallica e delle catene in grado di provocare rumore e spingere alla fuga i selvatici, molte nuove vite potrebbero trovare salvezza. Arrivando sugli animali nascosti qualche metro prima delle lame, queste barre avrebbero lo scopo di muovere e rendere visibili le femmine e i piccoli nascosti nella vegetazione consentendo all’operatore di fermarsi in tempo. Non solo. Vista l’abitudine dei selvatici di concentrarsi lungo le bordure dei terreni agricoli dove hanno maggiore possibilità di fuga e reperimento di cibo, sarebbe importante per i conduttori dei mezzi agricoli procedere nello sfalcio dal centro del campo verso l’esterno dando tempo e modo ai selvatici di mettersi in movimento e non di concentrarsi davanti all’avanzata dei mezzi. Occorre fare dell’adattamento la propria forza; infatti oggi rispetto al passato con la coltivazione gestita da pochi imprenditori agricoli che operano su grandi superfici di proprietà o in gestione, procurare o richiedere l’utilizzo a questi lavoratori delle barre di involo non sarebbe una scelta economicamente impegnativa per gli ATC di competenza.
La salvezza di quei selvatici ancora capaci di costruire un nido e riprodursi in natura rappresenta un bene inestimabile su cui investire e per questo è fondamentale un patto sociale ed economico, un sodalizio concreto fra agricoltori e cacciatori che si realizzi nella tutela in natura del maggior numero di selvatici possibile, come avviene in quei paesi considerati oasi felici per la caccia, in cui l’unica differenza con i nostri territori è rappresentata spesso da questa attenzione e tale collaborazione. Al contrario degli ungulati e del cinghiale che hanno beneficiato del parziale abbandono dei terreni e dell’espandersi delle superfici boscose, la piccola selvaggina stanziale ha trovato in questi mutamenti delle grandi difficoltà che può superare soltanto con l’aiuto proveniente dall’atteggiamento attento e responsabile di coloro che sono direttamente interessati alla presenza di selvaggina sul territorio, quindi cacciatori in primis e agricoltori di conseguenza se coinvolti anche economicamente nella tutela dei selvatici oggetto di caccia. La natura risponde ad un ordine di necessità, un rapporto di cause ed effetti in cui ad ogni azione corrispondono dei risultati inevitabili. Al pari dell’abbandono che ha determinato l’arrivo e l’irradiamento naturale di ungulati e predatori dalle colline alle pianure, con un atteggiamento collaborativo e vigile nelle campagne coltivate non potranno mancare dei risultati positivi, a favore della selvaggina stanziale e dei cacciatori cinofili che potranno emozionarsi ancora e sempre davanti ai propri cani alle prese con selvaggina naturale.