Giungono da noi nel mese di ottobre, attraversando lungo rotte antiche tutto o quasi il continente europeo verso i luoghi di svernamento. Non poche si fermano in località boscose eleggendole a dimora per tutto l’anno. Sono i colombacci, le palombe, i magnifici uccelli azzurri da sempre preda d’elezione dei migratoristi. Leggende venatorie li vogliono quali uccelli pressoché invulnerabili, comunque “duri” e difficili da abbattere. Per questo il tema “munizioni speciali” con cui insidiarli è da sempre uno dei più dibattuti, sui palchi ed ai valichi, mentre si attendono i branchi in arrivo…
Sembra proprio che la televisione non sappia più come farci arrabbiare; come allontanarci dai suoi programmi sempre più scemi, falsi e piagnoni. Ma porca miseria, non bastavano le continue invettive contro le armi? Non erano già più che sufficienti gli “speciali” dei TG che ad ogni apertura ci crocifiggono? Non ne avevamo d’avanzo con tutti gli anatemi e le crociate animaliste di conduttrici pasionarie e costanzisciò? C’era veramente bisogno – voglio dire – che la Rai facesse anche una serie intitolandola “Vento di Ponente”?
Ponente, palombe niente, Levante, palombe tante! …E ad ottobre quasi nulla è più bello di quelle albe limpide, infuocate, nelle quali –proprio con arie levantine- branchi di colombacci giungono dall’Adriatico per transitare sui colli della nostra bella Italia. E voi lì, su un valico o in una caccia che ve li gustate arrivare. “Degnare” ai piccioni lanciati Paolo, Luca o Giovanni, fare ala verso il palco in cui assieme a Stefano, Roberto o Antonio vi state preparando a sparare. Emozioni da far pulsare le tempie, attimi che vorresti non finissero mai, una sorta di orgasmo che ti serra la bocca dello stomaco e ti fa piegare le gambe. State giù, eccole, non vi muovete, sono buone, pronti…daiii!!! …E tutto si brucia in pochi istanti: si esce allo scoperto e s’inizia a sparare. Il primo colpo su quella che avevi individuato guardando dalla “ceccarola”, poi – se hai centrato – via a cercarne altre per tentare coppiole o triplette, mentre l’aria è intersecata da turbini di piume grigio-azzurre tra le fronde e da scariche serrate di spari che lacerano la quiete di una campagna che poi, improvvisamente, come nulla fosse stato, ritorna silente.
Quasi a suggellare la drammatica estaticità di quegli attimi sublimi di vita e di morte.
È una caccia fra le più antiche di tutta l'Italia Centrale (assieme all’aspetto estemporaneo ai valichi); una di quelle cui mai, per nessuna ragione al mondo si deve rinunciare. Una caccia magnifica fatta d’amicizia e socialità, chiacchiere e battute, pranzi luculliani all’aria aperta e foriera in tutte le sue forme d’attimi perfetti di pace sconfinata. Una caccia cui anche i cinofili impenitenti – rarefatti gli ultimi fagiani, sparite o quasi le quaglie ed ancora lontane le beccacce – si dedicano assai volentieri come per una “pausa di riflessione”. Come per raccogliersi e riposare un attimo, in attesa d’entrare nel clou della “loro” stagione venatoria.
E lì, in un appostamento pur che sia sull’Appennino o su di un “pulpito” tra le cime degli alberi ci piace meditare aspettando, perforando l’orizzonte con lo sguardo, lontani da tutto e da tutti, rigirandoci tra le mani un paio di cartucce di quelle buone. Cartucce speciali, scelte con cura in armeria o caricate in casa con amore e pazienza infinita, per esser sempre pronti allorché – come un antico baleniere dal pennone più alto – uno degli “amici” urlerà ancora a squarciagola quel grido che solo elettrizza tutti i sensi; l’unico che mai infastidisce e che sogniamo tutto l’anno: LEEE PALOOOMBEEE!!! E tutto questo perché, anche se al “profano” che per la prima volta guardi una palomba questa finirà per sembrare una sorta di piccione anomalo, magari solo un po’ diverso dai comuni pestatori di marciapiedi e “scacazzatori” dei monumenti della sua città, noi sappiamo che ciò non è vero neppure parzialmente; dato che assimilare un colombaccio adulto ad un volgare piccione equivale né più né meno che paragonare un mustang selvaggio ad un somaro, un bufalo cafro ad un bue! E solo il vero conoscitore della natura sa quanto difficile può essere domare ed aver ragione di uno e dell’altro…
La cartuccia da colombacci
Basta prendere una palomba tra le mani per rendersi conto di quanto affermo -la struttura filante e aerodinamica, le ali e la coda predisposte sia ai voli di migrazione che alla vita arboricola, la compattezza del piumaggio, la grande potenza di tutto l’apparato muscolo-scheletrico straordinariamente forte e tetragono in proporzione alla massa dell’animale- tutto questo dico, ne fa un uccello di grande fascino e nobiltà, un selvatico vero, una preda assolutamente degna di ogni cacciatore che si reputi veramente tale. Ed è per questa ragione che più o meno in tutt’Italia si sono sviluppate nel corso dei secoli tecniche venatorie differenziate atte tutte ad insidiare nel miglior modo possibile, regione per regione, i colombacci. Anticamente si andava dalle reti sui valichi alpini e del più alto Appennino, sino a tecniche diverse che prevedevano tassi più o meno elevati di specializzazione. Alpha ed Omega dei quali erano il semplice aspetto al passo o al traccheggio sino alle “cacce a fermo” delle Marche: vere e proprie cittadelle nelle foreste in cui si riusciva, con un complesso gioco di “palpe”, azzichi e volantini a far posare stormi interi di colombi su specifici, singoli alberi di buttata. Oggi molto di tutto questo è scomparso, e possiamo tranquillamente affermare che (con ininfluenti differenziazioni di tipo locale) due sono sostanzialmente le tecniche sopravvissute: 1 – l’estemporaneo aspetto in “passi” di transito ottobrino o locale pastura invernale: 2 – le “cacce” in cui si tira al volo di tipo umbro-reggiano-livornese-marchigiano nel periodo della migrazione. Entrambe le forme di caccia, ovviamente praticate col fucile (99,99% in calibro 12), richiedono altrettanto ovviamente munizioni di tipo diverso: quelle che ora – tra armeria e soprattutto fai-da-te- andremo singolarmente a studiare e fabbricare…
Nel cuore della questione...
…Si dirà dunque di cartucce per il “passo” e di cartucce da palombe per le “cacce”, tutte in calibro 12, tutte scelte e concepite –ancora e sempre- secondo quei “cinque parametri della carica” che il cacciatore (specie se caricatore) mai deve dimenticare se poi vuole trovarsi in camera cartucce adeguate allo scopo che si prefigge; in questo caso abbattere pulitamente colombacci. Non si potrà prescindere dal considerare allora: 1 – le distanze di tiro che mediamente ci troveremo ad affrontare; 2 – gli ambienti in cui cacceremo; 3 – la capacità intrinseca di resistenza alle ferite del bersaglio biologico che andremo a intercettare; 4 – l’arma che impiegheremo; 5 – che si parli rispettivamente di I, II o III colpo.
Ciò detto vediamo quindi che:
1 – a) nella caccia ai valichi ci si troverà a sparare 90 volte su 100 a colombacci mai bassi, più spesso decisamente alti e ai limiti della portata utile di qual si voglia abbinamento arma-munizioni; b) tutt’altra cosa nella caccia dai palchi, dove sovente –specie con vento forte e ottimo lavoro dei volanti (sempre che la caccia sia mimetizzata ad arte) ci si troverà ad affrontare due sostanziali distanze di tiro: un primo colpo esploso attorno ai 20 metri (…anche meno) su uccelli tutto sommato tranquilli, un secondo e terzo colpo su bolidi terrorizzati che sfrecciano a velocità supersonica svirgolando da tutte le parti e che con tre, quattro colpi d’ala sono già fuori tiro (può essere anche il medesimo uccello padellato). Da ciò ne deriva che per il “passo” necessiteranno cartucce tutte concepite per il long range, mentre per le “cacce” sarà assai utile predisporre caricamenti e tipologie di munizioni diverse tra prime, seconde e terze canne dove solo le ultime due saranno cartucce specifiche per le lunghe distanze.
2 – Gli ambienti che ci vedranno impegnati nell’esercizio delle due tipologie di attività venatoria in questo caso non sono poi così importanti, perché si sparerà sempre da postazione fissa, comoda, contro bersagli che si staglieranno in netto contrasto contro il cielo. Sarà comunque utile scegliere o costruire munizioni dalle spiccate doti d’insensibilità alle variazioni climatico-igrometriche tipiche delle giornate d’ottobre.
3 – Ciò che invece è importante sapere è che la palomba – pur non essendo “corazzata” come qualcuno (specie tra i “vecchi”…) dice e tramanda – è pur sempre un selvatico che, per le doti biologiche riportate nel box, presenta non di meno una resistenza intrinseca alle ferite assai spiccata. Dimostrando altresì una vitalità naturale che la rende senza ombra di dubbio tra i selvatici di penna più duri d’abbattere e forse, in proporzione, il più duro in assoluto. Contro di lei –quindi- saranno sempre necessari caricamenti di una certa energia, con numerazioni di piombo “grossette” ma non esasperate.
E ciò col duplice fine di avere: a) proiettili (pallini) capaci di conservare energie residue anche su distanze di una certa importanza, per colpire sempre forte, lungo e duro senza incertezze; b) rosate il più dense e nutrite possibile per poter altrettanto essere certi di porre almeno quei 5/6 pallini dentro al bersaglio che ci daranno la matematica certezza dell’abbattimento sicuro, pulito. Ovvio che anche così, se si valutano male le distanze, ci si lascia prendere la mano da tiri azzardati, si scarseggiano i selvatici, poi tutti – e non solo i colombacci – sembrano essere invulnerabili. Almeno quanto è vero che, se gli spara tra i 15 e i 35 metri, li si centra in pieno, con cartucce consone dalla completa efficacia, ogni animale (palombe comprese) cadrà inesorabilmente, come colto da folgore. Le palombe “centrate e andate via” infatti, che magari lasciano anche qualche penna, sono sempre uccelli fuori tiro o sui quali – sbagliando mira ed anticipo – abbiamo messo 1 o 2 pallini che non hanno incontrato nel loro tragitto dentro l’animale né ossa importanti, né organi vitali. Tutto qui…
4 – Venendo ora a parlare dell’arma ideale per la caccia al colombaccio, questa si presenta senza dubbio quale un semiauto in configurazione certamente non ultralight: assemblato con canna lunga e fortemente strozzata per la caccia ai valichi e con canna di media lunghezza ed altrettale strozzatura per le “cacce”.
5 – Come accennavo dunque, e ormai dovrebbe essere chiaro, in termini generali tratteremo sempre di cariche medio-massime del 12 standard con due sole variazioni relative a prime canne dal palco e terze baby magnum; con quest’ultime da utilizzarsi quale extrema ratio per tiri lunghi in giornate in cui le palombe verranno a passare a casa del diavolo senza proprio volerne sapere di mostraci le loro mitiche zampette rosse.
Quattro passi in armeria
Mentre sto scrivendo queste modeste note –a meno che la memoria non m’inganni- solo tre sono i fabbricanti di cartucce originali che ricordo i quali dedicano uno specifico prodotto alla palomba: Baschieri & Pellagri, con le Mygra Colombaccio, Browning, con le Legia Pigeon e Maionchi con le Colombo. Sono tutte eccellenti munizioni, due armate con polveri Ball-Powder di fabbricazione Browning/Winchester in miscela (Legia e Baschieri & Pellagri) ed una con l’ormai onnipresente e validissima TECNAn. (Maionchi). Loro unici limiti sono: da un lato l’unica numerazione di piombo (non esiste ad esempio una Colombo del 7 o del 4); e dall’altro, fattore assi svantaggioso per i tiri dal palco, di non possedere nella serie una senza-contenitore. Restando tuttavia fedeli alle singole marche ci si può regolare in tal senso… Maionchi dal palco: I canna-Fagiano o Coturnice, II canna-Colombo, III canna-Anatra. Maionchi al valico: I canna-Colombo, II canna-Colombo, III canna-Anatra. Baschieri & Pellagri dal palco: I canna-Mygra Tortora, II canna-Mygra Colombaccio, III canna-Mythos Valle del 4. Dal valico usare come I canna una Mygra Colombaccio. Browning dal palco: I canna-Pheasant (oppure Winchester Sovereign con piombo del 7), II canna-Pigeon, III canna-Special Canard. Al valico si lasci tutto invariato e si replichi una Pigeon quale prima canna. Dico poi che tali combinazioni, con un po’ d’occhio, si possono eseguire ricorrendo a qualsiasi altra marca, anche se ancora –ahimè- mi trovo costretto a lamentare la pessima abitudine a non fornire notizie sufficienti alla bisogna, anche da parte di grandi fabbricanti, relative alle munizioni che troviamo nelle loro scatole colorate. A quanto corrette indicazioni e dosi precise di quel che andiamo ad acquistare?
Le ricette di ricarica domestica
I canna al valico: è la cartuccia che spareremo per prima su quei colombi di passo nel mese di ottobre e su quelli in traccheggio a stagione avanzata. Il lavoro che le chiederemo di compiere sarà quello di abbattere pulitamente uccelli di mole discreta, buoni incassatori, sospettosissimi e che quindi quasi mai avremo a tiro ravvicinato. Somiglierà in toto –dunque- ad una cartuccia specialistica per il long range su selvaggina di pregio, caratterizzata da elevatissimi tassi d’insensibilità alle variazioni climatiche. La si scelga ad hoc in armeria oppure la assembli in tal senso: bossolo tipo 3 in plastica, innesco 616, polvere JK6B – tra le mie preferite – in ragione di 1,70 grammi dosati a bilancino, Borra contenitore in plastica, 36 grammi di piombo nichelato o ramato del 6, moderata pressione del tutto e chiusura stellare ben eseguita ma assolutamente non forzata.
I canna in caccia: senza farla tanto lunga dico subito che personalmente, a tale scopo, carico sempre una di quelle che utilizzo come seconda canna da beccacce o prima da fagiani all’apertura e in autunno. Ne ho più volte dato dosi e descrizioni ma repetita juvant… Bossolo tipo 3 in plastica, innesco CX2000, Polvere JK6B in dose di 1,65 grammi, coppetta otturatrice in plastica, borra tradizionale in feltro ingrassato, sugherino di spessore, 33 grammi di pallini temperati sferici del 7 e mezzo, discreta pressione del tutto e chiusura stellare stretta ma non forzata. In alternativa…: Bossolo tipo 3 in plastica, innesco CX2000, 1,70 grammi di polvere MBX36, borra biorientabile, spessore in cartalana (se necessario), 34 grammi di pallini temperati sferici del 7, chiusura stellare ben eseguita su colonna ben aggiustata ma non pressata.
II canna: a questa munizione richiederemo sostanzialmente un unico lavoro per due scopi potenziali: colpire lontano il medesimo colombaccio padellato con la prima o staccarne un altro in fuga precipitosa. Tiri insomma di 30-35 metri… La ricetta prevede: bossolo in plastica tipo 4, innesco 616, polvere F2X36 in 1,75 gr., borra contenitore in plastica, pallini nichelati o ramati in dose di 36 grammi, del 5 dai valichi e del 6 dalle cacce, sui quali eseguiremo – dopo moderata pressione del tutto – una chiusura stellare ben eseguita.
III canna: per gli scopi idem come sopra, con in più la possibilità di tiri efficaci sino a 40-42 metri. Per le cariche ecco come mi regolo: bossolo tipo 4, innesco 616, polvere MBX36 in ragione di grammi 1,80, borra contenitore in plastica, 38 grammi di pallini nichelati o ramati del 4, chiusura stellare decisa su colonna moderatissimamente pressata. In alternativa: bossolo tipo 4 o 5 (in realtà non vi è nessuna esigenza di corazze così evidenti, ma dal punto di vista estetico e psicologico le corazzate sono… fichissime!), innesco 616, 1,75 grammi di polvere TECNAn., borra contenitore in plastica, 38 grammi di pallini nichelati o ramati del 4, per la chiusura e le pressioni sono valide le norme descritte per la precedente cartuccia.
Venendo ora invece ai malati del tiro d’eccezione e delle cariche “tostarelle anzi che no”, propongo senza indugi una bella baby che sarà possibile camerare alla bisogna in base alle varie necessità: bossolo tipo 5, innesco 616, 1,80 grammi di polvere TECNAn., borra contenitore in plastica, 42 grammi di pallini nichelati o ramati del 5 se le adopreremo come seconde canne e del 4 (o addirittura del 3) se le vorremo quali terze, buon aggiustaggio della colonna, pressione lievissima della medesima e su tutto decisa chiusura stellare ben eseguita.
Concludo dicendo che, nonostante sia sempre più frequente, specie tra le nuove leve, il costume di munirsi di artiglierie esagerate caricate a bombe atomiche (e poi fioccano le padelle e i ferimenti di selvatici irrecuperabili!) in questa caccia magnum e supermagnum non sono così necessari; per cui non ne dirò. Di chimere funzionanti una volta al mille poi, quali over-cento e diavolerie varie, preferisco riservarmi un altrove per parlarne.