Ci fu un tempo in cui frettolose (quanto inadeguate) “indagini di mercato” previdero un giorno in cui avrebbe sostituito in toto il 12, eclissandolo: perché? …Orbene, ciò accadeva quando il volto della caccia europea ad anima liscia era fondamentalmente duplice: da un lato stavano i cacciatori coi cani da ferma (generici per lo più); dall’altro i migratoristi –diciamo così ‒ minori; cacciatori soprattutto d’ottobre, ai valichi, col tordo e il colombaccio quale vertice d’un carniere altrimenti popolato di silvie e passeracei (nei Paesi del Sud). Cosa caratterizzava la caccia d’allora? Tante cose certamente, in termini generali, ma tre su tutte per quel che ora è il nostro specifico campo d’interesse. Queste erano: 1) una totale “deregulation” per quanto concernesse i calibri (s’andava dal “flobert” alla spingarda); 2) un’ancora “giurassica” tecnologia nel comparto armi e munizioni; 3) il tutto legato – specie nelle due tipologie di caccia base di cui sopra, cardini dell’allora panorama venatorio – alla ricerca d’un logico, necessario compromesso fra portata utile (cioè efficacia del rapporto balistico arma-munizione) e portabilità intrinseca dell’attrezzo; con in più la necessità d’“avere un occhio” – anzi tutt’e due – al portafoglio. Eravamo infatti vicini sì a quegli anni che avremmo chiamato del boom economico; ma tanti di quelli che allora si consideravano benestanti, lo si sappia, oggi sarebbero guardati come miserabili o poco più! Ovvio fosse il 12, con cartucce a borraggio tradizionale (quando non “chimico” o addirittura “semo-truciolare”), il calibro proteiforme che più garantiva d’allungare fucilate altrimenti scarsamente efficaci su pernici, fagiani, lepri e uccelli migratori… ; pur tuttavia suo era lo svantaggio di presentarsi nei prodotti ordinari quale arma solitamente greve, pesante, sia che si parlasse di doppiette (sovra o giustapposte), che soprattutto di semiauto. Con in più l’aggravante di un costo non indifferente d’ogni singola fucilata; sia casalinga per non dir poi delle originali… Ragioni che portavano non pochi a optare verso l’affascinantissmo 16, lasciando il 20 (costruito per lo più come monocolpo) quale curiosità da sportivo stravagante o fuciletto da capanno…
Fu lì tuttavia che l’introduzione dei borraggi con bicchierino contenitore dei pallini, assieme agli sviluppi della produzione industriale di armi – specie nel versante semiauto – fece venire in mente a molti che il 20 sarebbe potuto divenire il calibro del futuro. Più leggero, economico e di potenza pressoché uguale, soprattutto nella versione magnum, al ben più pesante e costoso 12 standard. Con munizioni che richiedevano minor dispendio di materiali (polvere e pallini) e dunque, teoricamente, più economiche. Perfetto… E invece si sbagliavano e per più d’una ragione. Così come nei confronti del 20 in effetti, altrettanto verso il 12 (che oltretutto a livello psicologico “garantiva” più coefficiente offensivo) la ricerca seppe produrre reali innovazioni sì da renderlo maggiormente performante sotto tutti gli aspetti; cioè versatile. Dapprima negli automatici e poi via via in tutti i basculanti, il cosiddetto duralluminio – altrimenti noto tecnicamente come ERGAL 55- sostituì l’acciaio nella produzione di castelli, bascule e parti meno nobili (sino ai polimeri e alle vetroresine); creando così 12 addirittura più leggeri di qualsiasi 20 d’un tempo e resistenti come incudini grazie all’addizione di metalli “preziosi” – meccanicamente parlando – quali il titanio… (pensi chi caccia soprattutto col cane, a quel vero e proprio gioiello che è il Beretta Ultralight: 2,600 grammi o poco più di sovrapposto in calibro 12!).
Se poi si era saputo dar vita a 20 capaci di sparare senza problemi cariche da 36 grammi (cioè la dose forte di quel 12 che avrebbe dovuto sostituire), altrettanto nel corso degli anni vennero creati semiauto in calibro 12 capaci di funzionare senz’alcuna regolazione da 24-28 grammi sino ai 56; cioè capaci di sparare le dosi nominali del 20 sino a quelle “toste” del 10.
Come tuttavia stessero le cose davvero fu subodorato per tempo e con gran lungimiranza dai grandi fabbricanti di munizioni, che soprattutto verso il calibro 12 (e i suoi sviluppi) orientarono una produzione sempre più articolata, ricca e massiccia quanto massificata (cosa che tra l’altro abbatté i costi dei singoli pezzi), riducendo invece quella per il 20 che paradossalmente (ma non tanto) avrebbe preso a costare di più, nonostante il minor utilizzo di materiali…
Fu così che come si cementava un’egemonia che sarebbe divenuta nel tempo indiscussa per il calibro 12, altrettanto si creava quasi per forza una sorta di nicchia per i ventofili; il tutto a scapito d’un calibro un tempo glorioso ma che riuscirà letteralmente stritolato in questa “guerra di titani”: il (povero) 16!
Poco da dire quindi: in campagna, nelle armerie e un po’ dappertutto due soli calibri presero a contendersi le attenzioni dei cacciatori, dando vita a discorsi e polemiche a non finire… Con in mezzo ovviamente la gran massa degli “oggettivi”; capaci d’operare le proprie scelte secondo gusti e ragioni personali. Agli estremi, come sempre, restarono gli… estremisti; ossia i partigiani assoluti dei due differenti “culti balistici” al di là di qualsiasi ragionevolezza: gli strenui difensori del 12 e poi basta; e quelli del come il 20 nessuno. Il tutto all’insegna di una diatriba che durerà per gli anni nelle riviste di settore (per continuare tra circoli, bar ed armerie) e che avrà fondamentalmente questo grande quesito come base: “il 20 è il più grande dei piccoli calibri, o è il più piccolo dei grandi”?
…Sembra una scemenza, una sorta di ragionamento capzioso volto a definire il sesso degli angeli, ma così non è; poiché dietro alle due definizioni c’era e c’è altro… Ammettere in effetti che sia “il più grande dei piccoli”, significa tutto sommato tributargli scarsa efficacia al 20, relegandolo al rango di robetta da donniciole; dire altresì che sia “il più piccolo dei grandi” vuol dire nobilitarlo quale il più sportivo dei calibri da selvaggina di pregio: il tutto all’insegna del “dimmi cosa adopri e ti dirò chi sei”; ovvero di quel vizio tutto umano, consumistico persino, di voler valutare l’uomo non solo e non tanto per quel che è ma da quello che ha; e come lo adopra!
Ecco dunque gli amanti del 12, solitamente gente ossessionata da “volontà di potenza” e che tira dai 36 grammi in su, che guarda al 20 provando nei suoi confronti (e di chi lo usa) una sorta di ripulsa manco fosse una fionda in mano a un bambino deficiente! Ecco invece i matti del 20, talmente fissati e innamorati del loro pupillo da esser sempre tesi a tributargli ideali doti di superiorità nei confronti del 12, che finiscono sempre per fare a pugni con il 90% delle leggi della fisica (il tiro da 70 metri non esiste col 12, figuratevi col 20! Ed è impossibile che a parità di condizioni il calibro più piccolo porti più del maggiore. Punto!). Desidero dunque fare un po’ di chiarezza…
Sappiano or’dunque gli sprovveduti che non è certamente per caso se le forze di polizia e gli eserciti di tutto il mondo (specie nelle configurazioni riot-gun) – ma altrettanto i tiratori un tempo di piccione ed oggi di piattello – tutti utilizzano il 12…; qualcosa in più – in termini di potenza utile in determinati usi – ce l’ha di sicuro!
Sappia non di meno il neofita (e altrettanto il gratuito denigratore) che il 20 è, ed è sempre stato un calibro dalla micidialità assoluta per la caccia normalmente svolta; ché con munizionamento adeguato perciò, nelle mani d’un buon colpitore, si dimostra capace d’eguagliare per redditività sul campo –specie poi i fantastici 20 semiauto d’ultima generazione – quasi sempre il 12. Dove sta allora il suo limite più vero? Nel fatto d’essere predisposto per sparare (e funzionare bene, balisticamente parlando) con un determinato tipo di cariche diverse ed inferiori rispetto a quelle del 12; tutto qui. Ciò si traduce nella tendenza – a parità di dose col 12, specie se tirata con 20 magnum – a dare rosate mediamente più accentrate (costringendo quindi ad una maggior precisione di tiro); e a darne altre, con le dosi proporzionali, certamente più sguarnite sulle lunghe e medesime distanze. Cioè, due cariche da 30 grammi di pallini dello stesso diametro, sparate l’una da un 20 e l’altra da un 12 con eguali livelli di strozzatura, vedranno la prima caratterizzata da un maggior accentramento entro una distanza di 25-30 metri; due cariche di pallini dello stesso diametro, l’una da 24-28 grammi sparata con un venti ed un’altra da 32-36 sparata con un 12, entrambe in canne dalle medesime strozzatura e lunghezza, avranno portata utile differente poiché da una certa distanza in poi la prima – pur avendo la medesima ampiezza della seconda – finirà giocoforza per risultare meno densa dell’altra non riuscendo più, quindi, a garantire quei teorici 5 pallini sul bersaglio necessari a rendere recuperabile un capo X di selvaggina. Di che cosa stiamo parlando praticamente? Qualche – e dico qualche – facilità in più d’ingaggio alle brevi distanze per il 12 (motivata da rosate più dense in periferia) e qualche – aridico qualche – metro in più per quel che concerne la portata… Fine.
In che cosa invece, nonostante i 12 ultra leggeri di oggi, il 20 si dimostra nettamente superiore quanto meno in certi tipi di cacce? Nell’essere sempre, a parità di materiali di costruzione, assai più leggero del “fratello maggiore”. Per non dir poi di quella che, a mio avviso, è la sua nota positiva più saliente; palese anche quando per ventura si venisse a pigliare in mano un 20 pesante quanto un 12; dico delle sue sempre superiori maneggevolezza, brandeggiabilità e facilità – vorrei dire accuratezza – di puntamento. L’essere insomma più piccolo, dunque sottile e perciò fioretto, dove qualsiasi 12 – per quanto raffinato e alleggerito – sarà semmai sempre e solo… spada.
Tutte doti queste, in grado di compensarne alla grande i limiti di potenza (quanto meno in parecchie forme d’attività venatoria), con una resa in termini di precisione al tiro che può diventare sbalorditiva per chi non l’abbia mai provata.