Ormai da tempo in Italia la nomina di specialista accompagna in modo quasi imprescindibile il cane da ferma che si voglia descrivere come eccellente, nella quasi totalità dei casi in riferimento alla caccia alla beccaccia. Quanto questa situazione rappresenta un adeguamento e una sorta di rassegnazione in merito alla gestione ambientale e quanto invece una scelta consapevole o una conquista da parte di cacciatori e cinofili? Davvero a nessuno mancano belle azioni compiute da bravi cani da caccia, magari non specialisti, ma capaci di regalare emozioni da godere durante l’intera stagione venatoria e non soltanto per una sua minima parte?
Ovviamente facendo riferimento alla beccaccia come “banco di prova” per la valutazione delle qualità dei cani da ferma non si commette un errore, trattandosi di selvatico vero e impegnativo in molti ambienti in cui può svolgersi la sua caccia, ma cerchiamo di fare un punto pratico e onesto della situazione senza perdere di vista il valore della differenza e soprattutto della biodiversità .
Esiste soltanto la beccaccia?
Appurato che il flusso migratorio della beccaccia non si dimostra per sua natura costante e omogeneo perché fortunatamente il selvatico è distribuito in un vastissimo areale di nidificazione e svolge di conseguenza un altrettanto ampio e variegato spostamento nel periodo della migrazione autunnale, ne deriva che può dimostrarsi più o meno abbondante nelle diverse Regioni del nostro Paese. Mentre al nord sono solitamente presenti già dai primi giorni di ottobre per un arco temporale molto breve che termina con il sopraggiungere dei cali termici e delle nevi, al centro e al sud gli arrivi si verificano in un periodo più tardivo ma dilatato nel tempo che indicativamente può raggiungere con lo svernamento una permanenza di circa due mesi, dalla metà alla fine della stagione venatoria. Tutto ciò nella migliore delle ipotesi, quindi non considerando i sempre più frequenti ricorsi subiti dai calendari venatori e le modifiche delle date di chiusura che limitano ulteriormente molto spesso i periodi utili alla caccia alla beccaccia. Fatta questa doverosa premessa sulle concrete possibilità di incontro fra i nostri cani e la beccaccia nel nostro paese, motivo per cui, chi può, cerca sempre più spesso di raggiungere con i propri cani le beccacce in altre nazioni per concedersi qualche giornata in più da ricordare; possiamo continuare la nostra analisi sul come si sia arrivati a questo, dunque alla specializzazione univoca e necessaria.
Cani da ferma, ambienti e selvatici
Se è innegabile che a forgiare le doti dei cani sono gli ambienti e i selvatici che li abitano, ne deriva che oggi i cani da ferma che un tempo vedevano una normale alternanza delle fasi della stagione venatoria, dalle starne in collina ai fagiani negli incolti e nei calanchi, passando per le quaglie normalmente distribuite nei campi coltivati e nelle stoppie che resistevano a lungo; oggi i nostri compagni a quattro zampe passano gran parte del tempo in attesa che arrivi il momento propizio per l’arrivo delle beccacce coltivando nel frattempo le speranze in pochi campi rimasti praticabili e semi deserti se non disseminati di surrogati. Alle starne che ancora si rimpiangono e si cercano in altri territori europei per prove cinofile e addestramento dei cani, si sono sostituiti capi immessi che nella maggior parte dei casi hanno un atteggiamento, anche in seguito a periodi di ambientamento, profondamente diverso da quello che potrebbe ricordare selvatici naturali.
Stesso discorso vale per il fagiano allevato e immesso; superate le prime illusioni nelle giornate di settembre, come è apparso nelle campagne, improvvisamente e senza un progetto che ne renda possibile una continuità, scompare nell’arco di poche ore fino alla data delle successive reintroduzioni. Eppure nei rari casi di attenta gestione e dove sono presenti popolazioni selvatiche di fagiani che non vengono messe in contatto con animali allevati e le conseguenti patologie, incontrare selvatici a settembre, ottobre e novembre con soddisfazione e senza dover aspettare come manna dal cielo i flussi migratori è possibile.
Possibile non significa scontato, perché i selvatici e gli ambienti occorre volerli, crearli e custodirli con impegno come cacciatori e cinofili presenti e rispettosi sul campo. Va detto chiaramente che non può resistere ciò che si preleva senza un criterio e, non possono riprodursi sul territorio selvatici a cui non vengano garantite le necessarie possibilità di sostentamento e rifugio. Sappiamo tutti che esistono organi di gestione, (ATC) che sono incaricati di tutelare questi aspetti, ma occorre ammettere con onestà intellettuale che gli stessi organi sono composti e presieduti da rappresentanti delle associazioni venatorie, agricole e ambientaliste da cui i cacciatori possono e devono pretendere una corretta e produttiva gestione del territorio. Parlo di legittima pretesa, perchè quanto sostengo, ossia, la corretta e responsabile gestione del territorio attraverso ripristino di zone favorevoli alla permanenza e la riproduzione della fauna è prevista da un preciso articolo di legge, il numero 11 della legge quadro 157/92.
Dove questo accade, ed esistono distretti territoriali in cui abbiamo avuto con all4hunters l'occasione di realizzare immagini che lo dimostrano, si incontrano cacciatori soddisfatti e capita ancora di vedere cani davvero completi, in grado di leggere e perlustrare territori con metodo e avidità, spinti dalla possibilità di incontri sempre possibili e diversificati. Era un pomeriggio di novembre e in mezzo a quella che sembrava essere una pianura inospitale, si apriva nei pressi di Crevalcore davanti a me una porzione di territorio dove cacciatori e agronomi insieme avevano messo in atto gli interventi di ripristino di zone umide e colture alternate come previsto dalla legge nazionale e dagli interventi comunitari europei. Fra viali alberati, boschetti naturali, siepi e campi coltivati i cani non riuscivano a distrarsi dalle tante emanazioni di fagiani, quaglie ancora presenti nei prati, beccaccini e acquatici vicini agli specchi d'acqua e alcune beccacce che in poche ore di caccia è stato possibile incontrare. In quelle condizioni ho toccato con mano quanto sia necessario parlare di soggetti specialisti per compensare il grandissimo vuoto creato dalla mancanza di ambienti e selvatici. Nel tempo è evidente come la selvaggina pronta caccia, di consumo immediato, abbia diseducato generazioni di cacciatori portandoli oggi ad accontentarsi o peggio a rinunciare e credere che la caccia con il cane da ferma sia soltanto la ricerca di selvaggina immessa prima dell’apertura per poi aspettare l’inverno e le beccacce. Una domanda sorge spontanea dagli anni di esperienza. Perché fino a circa 20 anni fa e prima ancor di più, erano così meno numerosi i cani e i cacciatori che si dedicavano in modo specialistico alla beccaccia?
Ricordo perfettamente come a volte in montagna, accompagnando mio padre nel giorno libero del sabato dedicato alla caccia, era possibile trovare la stessa beccaccia nel silenzio anche dopo una settimana prima di riuscire con tutta la serenità a conquistare il selvatico in seguito a vari tentativi. Oggi sarebbe impensabile, perché si incontrerebbero negli stessi luoghi frotte di cacciatori, che nel frattempo sono diminuiti rispetto ad allora ma cacciano quasi mai da soli e tutti lo stesso selvatico. Non erano forse affascinanti già allora come oggi il bosco e la beccaccia? Eppure i cacciatori sceglievano come e dove divertirsi, senza stereotipi obbligati, distribuiti nei vari territori e con cani che sapevano adattarsi e cacciare con passione dalla pianura al bosco in collina, fino ai faggi o i pascoli sui versanti di montagna.
Specialisti si diventa
Prendendo in considerazione le caratteristiche di diversi ambienti a confronto, possiamo intuire come alcuni aspetti nella specializzazione vengano a mancare. Ad esempio, continuando a prendere la beccaccia come selvatico di riferimento per la selezione, è innegabile come questa caccia si svolga nel periodo più fresco della stagione, per i cani sinonimo di minore fatica, in ambienti umidi nella maggior parte dei casi che non solo danno la possibilità di refrigerio ma in cui l’usta lasciata dal selvatico sul terreno è molto più facilmente percettibile e individuabile. Senza voler in nessun modo semplificare o peggio banalizzare il tema e il selvatico in questione, non possiamo dire che sia la stessa cosa, in materia di metodo, resistenza, capacità di discernimento, confrontare la caccia nel bosco con territori aridi, montuosi, oppure con i calanchi, dove alle alte temperature, alle asperità dei terreni, si aggiungono le strategie difensive di selvatici imprevedibili, come i fagiani allo stato naturale o le pernici rosse ad esempio. Questo per limitarci solo ad alcune situazioni alternative, senza volerci dilungare chiamando in causa il possibile confronto con le starne che ancora oggi determinano la selezione nella grande cerca, beccaccini in zone umide sempre più rare, selvaggina di montagna per chi può. Possiamo quindi dire che avere cani specialisti rappresenti oggi una scelta o una necessità? Forse la scelta di darsi qualche possibilità di incontrare l'unica specie che arriva a popolare gran parte dei nostri territori sopperendo alle mancanze gestionali degli stessi e la presenza di altri selvatici. C’era e sarebbe bello ci fosse ancora, il cane da caccia, libero dai nostri adattamenti obbligati, pronto a diventare specialista per vocazione naturale e non per mancanza di alternative. Sono sempre pericolose le strade a senso unico, percorse con sicurezza e velocità senza pensare, in cui si rischia di scambiare l’unica direzione possibile per quella migliore.