Nell’immaginario collettivo di noi cacciatori trova posto da sempre il dipinto più celebre, l’uomo, il fucile e il cane. È un’opera attribuibile alla mano sapiente di madre natura che nel corso dell’evoluzione ha messo continuamente alla prova uomini e animali nel duro gioco della collaborazione per la sopravvivenza e che poi è divenuto nei tempi moderni un' intesa consolidata e di reciproca utilità. È un triumvirato inarrestabile, un’alleanza perfetta tra uomini, strumenti e animali pari per valore storico e produttività solo a quelli dell’agricoltore e dell’aratro con i buoi. Eppure in alcuni casi questa alleanza che si vorrebbe eterna si spezza, rotta dallo scoppio dell’arma che arriva sgradito o terrificante per il nostro fedele alleato. La paura dello sparo è una delle più comuni piaghe psicologiche con cui cacciatori e canai devono confrontarsi. A molti è capitato di avere a che fare con un cane timoroso al colpo del fucile, o addirittura terrorizzato, tanto da essere completamente inibito solo alla vista del fucile. Una condizione spiacevole e pesante da sostenere, specie quando il soggetto ha un talento innato per la caccia ma diventa completamente inutile nell’ambito di una battuta. Andiamo per ordine però e proviamo ad affrontare questo complicato tema per gradi. Per prima cosa dobbiamo trovare una sintesi tra chi sostiene che la paura dello sparo nel cane sia ereditaria e chi invece sostiene il contrario. Eminenti allevatori e studiosi della psicologia canina hanno pareri differenti pertanto non è cosi semplice prendere una posizione tra chi vive di una grande esperienza e chi invece si attiene a studi scientifici. I due metodi sono spesso contraddittori ma assolutamente validi.
La paura dello sparo può essere ereditaria?
Troviamo una sintesi razionale e di buon senso. Se la paura dello sparo fosse ereditaria vorrebbe dire che nelle caratteristiche fondanti del soggetto, nel suo DNA è impresso un carattere specificatamente avverso al fucile e allo scoppio della cartuccia. Parliamo nello specifico di questo rumore particolare perché molti soggetti “timorosi” non hanno nessun problema durante un temporale o stimolati da altri suoni altrettanto forti e improvvisi. Questo mi fa dedurre che una condizione cosi specifica e connessa a uno strumento meccanico difficilmente possa trovare posto nel patrimonio genetico di una linea di sangue come una delle caratteristiche impresse nei geni. Lo sparo è una manifestazione fisica e ambientale, è pertanto legata all’ambiente in cui il cane nasce, cresce, si sviluppa e soprattutto, caccia. È pertanto classificabile sotto la definizione di “trauma”, una “frattura” psicologica che il cane subisce e dalla quale non riesce a riprendersi.
E allora da cosa può dipendere? E perché molte linee di sangue sono cosi soggette a questo trauma. Non c’è una predisposizione genetica come ho detto e come sostengono persone molto più autorevoli di me, c’è tuttavia una matrice caratteriale che potrebbe esporre un soggetto a rischi di traumi più facilmente di quanto non lo sia un suo simile. Nella selezione si guarda molto alla catena delle parentele, genitori, nonni e possibilmente bisnonni, sia per aspetti legati alle qualità venatorie, per la disciplina, per le caratteristiche fenotipiche (i caratteri esterni visibili) e per quelle caratteriali. I cani devono essere equilibrati, ovvero: coraggiosi ma non aggressivi, docili ma non timidi, devono saper stare con l’uomo mantenendo un comportato adeguato. Laddove il carattere mostra profili più timorosi, eccessivamente guardinghi, fuggitivi addirittura, abbiamo segnali di soggetti con un disequilibrio psicologico più o meno marcato, che va da una semplice diffidenza a una vera paura. Con un profilo del genere sarà sicuramente più facile che un soggetto sottoposto a una situazione sconosciuta e fortemente impattante come una “sparatoria” da carabine, piuttosto che un’insistente attività di spari dei bracchieri, possa restare talmente sollecitato e, senza la rassicurante protezione del suo conduttore, sviluppare una forte tensione nei riguardi dei colpi fino a fuggirli sentendoli solo da lontano. Quindi la genealogia ha il suo peso, ma un cane con la paura allo sparo non genera cani con la paura allo sparo, ma cani con un carattere più timoroso e anche quelli con profilo più aggressivo, che potrebbero sviluppare paure o altri comportamenti estremi, non è detto che la paura allo sparo porti paura allo sparo.
La causa è nella mancanza di equilibrio psichico che li espone maggiormente ai rischi di traumi. Non solo i soggetti caratterialmente instabili possono subire questo trauma, anche quelli molto socievoli e più equilibrati, cani già avviati alla caccia, soggetti con anni di esperienza sulla groppa che improvvisamente sviluppano questo trauma. Le condizionalità sono di ordine ambientale come abbiamo detto e proprio nell’ambiente in cui il cane vive e caccia trova spesso momenti di forte esasperazione che lo portano a crollare psicologicamente. Dopotutto è una condizione che osserviamo anche nelle persone quando sono, loro malgrado, sottoposte a fortissimi stress e non riescono a sostenere il peso.
Come si evitano i traumi nei cuccioli?
Come si evita nei cuccioli e nei cuccioloni? È evidente che un soggetto poco esperto e poco abituato ai rumori andrà tutelato e avvicinato allo sparo progressivamente. Inutile dire che non vanno fatte prove improvvise con il cane a riposo o mentre ciondola passivamente per il canile. Il colpo del fucile può essere introdotto già in tenera e tenerissima età attraverso rumori progressivamente più forti, come battere la pentola della pappa a ridosso della cuccia, ma sempre associandolo a qualcosa di piacevole e godurioso, come la pappa per l’appunto. Il rumore, cosi come lo sparo e il fucile, devono essere associati dal cane a un evento piacevole, come andare a caccia, come giungere sulla preda rincorsa per ore, come azzannare il pelo bagnato di un cinghiale che ha insidiato fino a raggiungerlo finalmente proprio dopo quel colpo, quel BAM! che per il cane rappresenta il compimento della sua opera. Meglio ancora se le prime volte sia proprio il proprio conduttore a sparare alla preda e complimentarsi con il suo fedele compagno che troverebbe la miscela perfetta di gratificazione e consenso del proprio padrone.
Dove tuttavia inciampiamo in questo problema, c’è un metodo per recuperare il cane? La risposta purtroppo non è definitiva. Dipende. Dipende da cosa? Innanzi tutto dipende dal cane, dal suo vigore caratteriale e dalla sua predisposizione a reggere ai traumi, poi dipende da noi, dalla nostra pazienza e dalla sensibilità che abbiamo nell’accettare la sua condizione e provare a metterlo suo agio pian piano, poi dipende dalla profondità del trauma, da quanto impegnativo è il suo recupero. Personalmente nell’arco di molti anni mi è capitato tre volte di avere dei soggetti con questo problema e non sono mai riuscito a recuperare i cani, malgrado mi sia impegnato e abbia seguito pedissequamente tutti i consigli. Ho potuto però anche assistere al pieno recupero di alcuni soggetti da parte di amici molto più abili di me in questa fase e che hanno rimesso in moto il valore venatorio del loro cane. A volte il cambio di ambiente e anche di conduttore, condizioni che spesso rischiano di traumatizzare il cane, possono creare una “frattura” al contrario, mi spiego: il soggetto smette di associare voce, ambiente, circostanze, finanche il rumore della macchina che lo conduce a caccia e si crea uno “scenario” nuovo in cui ricostruisce il suo profilo psicologico. Vale per i soggetti che smettono di cacciare come vale per quelli che ricominciano a farlo. I traumi possono essere utilizzati anche al contrario, in fondo anche noi non siamo “educati” per traumi? Le nostre abitudini, il nostro comportamento, quello che pensiamo di non poter o non saper fare, sono frutto di una serie di micro-traumi (che definiamo più carinamente esperienze) che hanno condizionato la nostra vita e che oggi disegnano il profilo delle persone che siamo. Per il cane funziona in maniera molto simile.
I nostri consigli
Il consiglio che vi do, quando avete una cucciolata, è di abituare i piccoli fin dai primi giorni di vita ai rumori, renderli un ambiente normale, specie per i segugi destinati alla caccia al cinghiale che dovranno quindi frequentare ambienti che negli ultimi anni sono quasi dei territori di guerra. Per i cuccioloni che portate nel vostro canile vale la stessa regola e nel momento in cui dovessero sentire il colpo del fucile badate che sia sempre in una fase molto attiva e viva della loro giornata, mentre seguitano un cinghiale o una lepre, mentre sfidano i boschi e corrono a perdifiato mangiando avidamente l’aria. È una fase in cui il cane si pone in una condizione di forza nei riguardi del suo ambiente, è il momento migliore per sentire un rumore cosi forte e potente come il colpo di un fucile. Evitiamo altresì colpi ravvicinati. Cani inesperti, alle prime esperienze di caccia potrebbero trovarsi in situazioni estreme come insidiare un cinghiale ferito. Il canaio che si porta sul selvatico per scoccare il tiro finale deve necessariamente tenere in considerazione la presenza di giovani cani e possibilmente evitare il tiro ravvicinato che schianterebbe le orecchie dei cani meno esperti esponendoli a possibili traumi. Se ci sono cani giovani nelle mute sono da evitare braccate con innumerevoli scacciarelle sparate nel vuoto (pratica che personalmente non condivido per tanti motivi di cui diremo in altra sede), colpi a freddo su animali troppo “corti sui cani”. Vale anche per le grida, forse non lo avrete notato, ma c’è modo e modo di gridare per “pilotare il cinghiale” verso le poste. Segnalate la presenza di cani giovani al resto delle bracche e coinvolgeteli in una fase educativa e delicata, è un attimo perdere un soggetto giovanissimo che potrebbe diventare il perno della vostra muta.