Il bracco italiano, ieri e oggi, cosa è cambiato in lui e nella caccia?

Il bracco riflette e fa riflettere

Facciamo un punto della situazione sul bracco italiano insieme al dott. Luigi Marilungo, cacciatore, allevatore amatoriale dei bracchi italiani di Col Petrosa.

"Pochi hanno fiducia nel bracco italiano e io sono convinto che lui lo sappia. Per questo ci guarda con aria interrogativa e a tratti indifferente, come un saggio consapevole che il suo tempo non sia il nostro; perché lui è rimasto fedele a se stesso e alla sua passione, noi invece e la caccia cosa siamo diventati?"

Vorrei introdurre l’intervista e la chiacchierata sul bracco italiano insieme al dott. Luigi Marilungo con questa mia riflessione, scritta anni fa, mentre osservavo un anziano amico cacciatore e il suo bracco italiano cacciare quaglie mentre il cane di tanto in tanto, seppur concentrato nell’azione al trotto, mi guardava come a chiedermi perché fossi sorpreso nel vederli così reciprocamente soddisfatti e felici. Lo faccio per onestà intellettuale, per le perplessità che anch’io come molti giovani cacciatori nutrivo e forse ancora riservo a questa ed altre razze di cani da ferma continentali che più di altri hanno pagato numericamente alcuni cambiamenti culturali del mondo venatorio. Un mondo che sembra spesso lasciare indietro la sua vera e più profonda missione contemplativa e passionale per adeguarsi alla frenesia dei ritmi, delle prestazioni, più pertinenti al mondo commerciale, dell’ostentazione dei risultati che seppur presenti nell’agonismo umano e sportivo mai in questo modo lo avevano contaminato. 

La caccia, come la vita, sente sempre più spesso l’influenza di una dimensione più virtuale e apparente che reale, dove sembra necessaria una certa visibilità dei risultati, dei carnieri, dei numeri, che in assenza della comune condivisione ed esibizione è come non esistessero davvero per chi li ha vissuti e ottenuti.  Tutto questo poco o nulla avrebbe in teoria a che vedere con le emozioni e la qualità del tempo trascorso con un cane, un amico appunto, non una macchina nè un mezzo con cui condividere il piacere della ricerca, della libertà e della pace per boschi e campagne. Anche parlare di cinofilia sembra ormai un argomentare intorno al mezzo più rapido ed efficace per il raggiungimento di un obiettivo e non il godimento e lo scambio culturale di momenti carichi di significati che prendono forma nella psiche e nei movimenti di cani che rispecchiano le aspettative e i sentimenti di rispettivi cacciatori e cinofili. Il bracco italiano ci induce a mio avviso in modo molto interessante a riflettere intorno a tutto ciò e al possibile recupero di una naturalezza, dei ritmi, dei pensieri, dei comportamenti.

Intervista al dott. Luigi Marilungo, cacciatore e allevatore dei bracchi italiani di Col Petrosa

Il dott. Luigi Marilungo con Tebe di Col Petrosa.

I cambiamenti radicali che i territori hanno subìto rispetto ai paesaggi che hanno visto la diffusione della razza nella seconda metà del secolo scorso giustificano un adeguamento dei criteri di selezione verso le rinnovate esigenze dei cacciatori, ma come spesso accade i pregiudizi resistono. Siamo certi che andature veloci e galoppi sfrenati di matrice anglosassone per intenderci, equivalgano a maggiori possibilità di incontro rispetto a territori esplorati con metodo attento e diversa ispezione olfattiva? Di questo parliamo con Luigi Marilungo e di altri aspetti che contraddistinguono il bracco italiano come cane da caccia affidabile e compagno di vita unico nel suo genere. Il dott. Marilungo, cacciatore per passione e medico veterinario di professione, ci racconta di aver conosciuto varie tipologie di cani da caccia in gioventù fino all’incontro con il bracco italiano e la successiva collaborazione con l’allevamento del Monte Petrano di Mario Buroni da cui poi è arrivato l’affisso proprietario di Col Petrosa nelle Marche, con i suoi quarant’anni di selezione dedicata alla caccia e a cani che non tradissero mai la loro natura appunto di cacciatori. Questo è un punto essenziale che Luigi sottolinea più volte attribuendo giustamente la salvezza e l’attuale stato di salute del bracco italiano alla caccia e ai cacciatori che ancora condividono la propria passione con questi cani da ferma dalle origini antichissime. Troviamo citazioni di un cane braccoide con tendenza alla ferma nell’antichità in Senofonte, Eliano ed altri autori dell’epoca romana; poi, nel 1338, lo vediamo effigiato con le attuali sembianze da Ambrogio Lorenzetti in una famosa rappresentazione allegorica del buon governo, affrescata nella Sala della Pace del Palazzo Pubblico di Siena. Particolarmente significativo è inoltre un bassorilievo di Benvenuto Cellini, oggi custodito al Louvre, eseguito alla corte di Francesco I nel 1542. Altre testimonianze provano intorno al 1200 la presenza in Italia di cani da caccia definiti dallo stesso Dante Alighieri “bracchetti”, particolarmente abili nel reperimento e nella ferma di volatili. Oggi dopo secoli di cambiamenti culturali e ambientali, i cani che arrivano a noi, dopo un periodo di declino risalente agli inizi del 1900 sembrano godere di un buon apprezzamento fra i cacciatori grazie al lavoro che la selezione ha operato quando non si è distratta e allontanata dalla via maestra del fine venatorio. 

Rea di Col Petrosa, campione italiano di lavoro, in ferma. 

Le prove di lavoro hanno contribuito nel tempo ad ottenere cani più leggeri nella struttura e agili nel movimento che rimane comunque un trotto ampio e veloce favorito da un’idonea costruzione e determinato dalla psiche. In momenti particolari, indicati anche nello standard di lavoro che è datato 1937, gli è consentito il galoppo. L'altezza al garrese indicata dallo standard è compresa fra i 55 e i 67 cm mentre il peso ammesso arriverebbe intorno ai 40 kg ma nella selezione operata ai fini venatori vengono ovviamente preferiti cani più leggeri e di conseguenza agili e resistenti. La Società Amatori Bracco Italiano (SABI) dal 1949 tutela la razza e riunisce tutti gli appassionati allevatori ed utilizzatori della stessa. Alla guida dell’Associazione, in oltre mezzo secolo si sono avvicendati competenti allevatori e giudici, grandi cinotecnici, e su tutti va citato Paolo Ciceri  che hanno dettato con chiarezza e continuità le linee guida per un moderno e razionale allevamento. La tendenza odierna è quella di produrre soggetti competitivi con le altre razze, pur mantenendo le caratteristiche somatiche e caratteriali specifiche. Si selezionano Bracchi vigorosi e sani, di media taglia, dinamici e volitivi, ma sempre con quella psiche che ne determina l’andatura di trotto nell’affrontare e risolvere i quesiti olfattivi, l’armonia nei cambi di velocità e direzione quando a testa alta va ad interrogare il vento, la morbidezza e la plasticità con cui prepara la ferma. La collaborazione e il collegamento col cacciatore che derivano da secoli di storia ne hanno fatto un ausiliare generico, capace di adattare la cerca alle condizioni imposte dal selvatico e dal terreno (fonte Enci). 

Il bracco italiano non dispensa illusioni al cacciatore. La sua morfologia parla di pazienza e dedizione, del bisogno costante di allenamento fisico e necessità di buona alimentazione per poter garantire resistenza e soddisfazioni reali a caccia, con cani capaci di appagare non solo lo sguardo ma anche l'orgoglio del cacciatore. Perché, come sostiene con buona ragione Luigi Marilungo, con un inglese incompleto si può avere l’impressione di andare a caccia, con un bracco italiano impreparato o inadeguato no. Mentre i primi per istinto si muovono in modo vistosamente energico e veloce, il bracco italiano a cui manchino la giusta venaticità e un allenamento appropriato, capace di rendere funzionali e sviluppate le sue masse muscolari, è impossibile che riesca ad esprimere il suo potenziale. Il tempo e la passione sembrano essere elementi indispensabili alla crescita e la riuscita di un buon bracco italiano, che messo nelle condizioni atletiche adeguate per potersi confrontare con selvaggina naturale, non potrà deludere, assicura Luigi Marilungo.