Un’estate mite, più piovosa del previsto, ancora mai aggressiva e con temperature che per quanto oscillino vertiginosamente si trattengono in domini ancora praticabili. La mattina conserva, tra onde di umidità e tratti di calura tipica della stagione, quel fresco rassicurante che non dispiace a noi e non turba i segugi, che nel periodo del riposo devono trovare condizioni controllate per non sprofondare rapidamente in malori o eccessi di attività. Qualche bella sguazzata raffresca il terreno, lo inumidisce, certo non rende le cose più semplici, ma almeno elimina la polvere fastidiosa e comprime le erbacce secche appena tagliate riducendo il rischio di forasacchi.
Ci sono le condizioni per approfittare della “stagione di mezzo” quel periodo che si insinua nel periodo di chiusura della caccia e il termine di quasi tutte le prove di lavoro. Le cucciolate che hanno ormai raggiunto i 5 mesi sono sulla pipeline del canile e aspettano di essere instradati sui sentieri della caccia. Valorizzare il lavoro fatto in allevamento, testare l’esito di tante aspettative racchiuse nell’avvicinamento dei soggetti che abbiamo reputato migliori per far progredire il nostro gruppo di segugi, è un processo che in questo periodo trova piena realizzazione.
Da una parte lo schieramento degli attendisti, dei prudenti, di quelli che “fino a un anno il cane non deve vedere nemmeno il cinghiale, solo il coniglio e qualche volta”, dall’altra gli arrembanti, istintivi, a volte imprudenti, che lanciano i piccoli novizi in attività decisamente più estreme di quanto la loro età dovrebbe consentire. In mezzo c’è chi guarda, chi cerca la verità e un consiglio che possa aiutarlo a capire meglio cosa sia giusto fare, quando sia il momento di lanciare il cane nel bosco e quando invece è più producente lasciare che maturi nel canile. Per nulla facile trovare una sintesi e una replica e anche quando si cerca di farsi forte del detto “in medio stat virtus” (la verità sta nel mezzo), arrivano prontamente smentite e si infrangono le nostre più sagge convinzioni sul terreno dell’esperienza. Ecco l’esperienza. Forse è proprio da qui che dovremmo partire, ancor prima che dal nostro cane.
Metodo con cui avviare il cane alla caccia
Cos’è l’esperienza? L’esperienza è prima di tutto: conoscenza delle cose, acquisita per mezzo di un rapporto diretto con le cose e la realtà. Semplice da dire ma molto complicato da gestire. Non siamo nell’alveo della cinofilia più tecnica, non abbiamo a supporto standard di lavoro, regole ferree, indicazioni precise sui metodi e sulla disciplina con cui affrontare gli aspetti più raffinati del mondo del segugio, qui parliamo di prepararsi alla caccia, di essere buoni interpreti del nostro cane e scegliere per lui i momenti, i luoghi, il metodo con cui avviarlo alla disciplina. L’esperienza è e resta il primo punto di ingresso della conoscenza, vale per l’uomo, vale per gli animali e se vogliamo distendere sul terreno di prova il buon lavoro fatto nella selezione e nella gestione degli accoppiamenti, arriva il tempo di toccare con mano quanto abbiamo prodotto. Portare il cucciolo “a caccia”, non vuol dire sbatterlo inconsapevolmente dentro un piccolo recinto con un cinghiale inferocito, la caccia non è questo, la caccia è ricerca, esplorazione, iniziativa, conoscenza del territorio, capacità di discernere odori e piste, individuare un percorso, orientarsi, collegarsi al conduttore; la caccia è capacità di stare nel bosco, è curiosità, è voglia e desiderio, è passione per la natura che il segugio esprime ogni qual volta abbassa il tartufo a terra e si interroga su cosa sia quel profumo cosi prelibato, dove sia l’animale cui appartiene; la caccia è ancora spaziare, liberarsi dei confini del proprio canile, imitare o scimmiottare gli adulti esperti, strisciare sotto un ramo caduto, liberarsi dalle piante che si aggrovigliano attorno alle zampe, è la leva che ribalta il coperchio del carattere e fa emergere la personalità del segugio in un ambiente esterno e non protetto, è la foga e la paura, è l’interesse e l’indifferenza, è un ciclo che si ripete uscita dopo uscita e ogni volta il giro sale a un livello superiore come una spirale che fa crescere il piccolo segugio e lo trasporta ai piani alti del valore venatorio.
Ecco, questa è la caccia per il vostro piccolo ausiliare, tutto qui, si fa per dire, nessuna preda, nessun inseguimento, nessun abbaio a fermo, nessuna esibizione da giovane talento su cui scommettere per i prossimi anni. “La caccia è conoscenza in purezza”, vale per noi, vale per loro.
Quando è il momento di portare il cane “a caccia”?
Il momento è il prima possibile, non appena la sua curiosità e la sua zampa siano abbastanza robusti da farci venire voglia di portarlo con noi. L’esperienza che matura a ogni uscita farcisce il suo ampio bagaglio di conoscenze, lo prepara al mondo e lo instrada su un percorso di sapere e prestazioni in cui dovrà trovarsi subito a suo agio. Nelle prime occasioni non c’è bisogno di distinguere le uscite combinate per gli adulti coinvolti nell’affinamento delle caratteristiche o nel mantenimento del fitness, i piccoli possono seguire voi, raccogliere con i sensi tutti quegli infiniti elementi che creano la base emotiva e caratteriale e contribuiranno molto presto a far emergere quel talento innato proprio di una specie selezionata per inseguire le prede nel bosco. Ecco l’esperienza: le orecchie trascineranno nel cuore le vibrazioni delle seguite degli adulti e anche se li vedrete intenti a guardare altrove non dovrete pensare che non siano per niente interessati, riconoscono già i compagni del proprio canile, il tartufo spingerà fino al cervello i miliardi di odori che inebriano il segugio e che la testa comincia a incasellare dentro specifici distretti che serviranno al riconoscimento in futuro, gli occhi spazieranno tra colori e piante guardando oltre quello spazio cosi ridotto e limitato del canile.
L’esperienza, una sola uscita da giovanissimi trasforma il cucciolo in un piccolo grande cane, torna nella sua cuccia dopo l’esame con il mondo conoscendo ormai la strada che dovrà seguire. Dopo le prime esperienze, se il carattere sarà emerso a sufficienza, tale da mostrarci le caratteristiche di un soggetto indipendente, equilibrato, voglioso, se le baraonde e le liti con gli adulti per lo straccio rubato vi mostrano uno scenario sviluppato e fissato, allora è tempo che il cane incontri il suo nemico prediletto. L’attenzione, in questa fase sarà solo nella scelta della struttura adatta, non troppo piccola per evitare di stringere gli animali e costringerli a reazioni improvvise, non troppo grande per evitare che si allontanino al punto di non consentire al giovane nemmeno un fugace incontro. Un passaggio determinante che nella maggior parte dei casi termina con un “niente di fatto”, con il cucciolotto che nemmeno si accorge della presenza del cinghiale. Un “nulla di fatto” apparente, perché quello che noi leggiamo con le reazioni dovute per il cane sono reazioni accessorie. Mentre noi aspettiamo di vederlo abbaiare al cinghiale secondo una logica fondata sulle reazioni umane, lui ispeziona il terreno, conosce la sua preda dall’enorme quantità di fiato ed effluvi depositati a terra. Questo processo equivale alla reazione ideale, a quanto il cane deve rispondere nel suo percorso di accrescimento. Lui con noi, ma non come noi, la sua specie utilizza strumenti primari diversi dai nostri, aziona forme di contatto dirette e indirette diverse da quelle che potremmo richiedere a “un bambino”, il suo istinto lo guida, la sua intelligenza animale lo guida e al fuori di questo processo, il suo conduttore, premuroso o avventato che sia, lo guida attraverso un lungo e paziente corso di introduzione alla caccia, in cui l’amore per il nostro cane e la gioia di vederlo crescere non dovrà mai essere surclassata dal desiderio di sentirlo abbaiare. Suvvia, la stagione è ideale, cosa aspettate, portate i vostri cuccioli a fare esperienza del mondo, in bocca al lupo a tutti.