Caccia col cane da ferma: prima cacciatore, poi cinofilo! (parte prima)

La lezione di Gianni

Il legame coi propri cani, si cementa nel corso di giorni, settimane e mesi passati anche a scambiarsi gioiose coccole fra giochi che sembrano non centrare nulla con la caccia, quando invece...!

Spunto di queste riflessioni senza dubbio un post su Facebook del caro amico Gianni Lugari, il quale scriveva: “La differenza fra un cane specialista e uno generico, è il padrone”. Concetto assimilato il quale (con tutto ciò che significa e sottende) ci porta per consequenzialità logica a dover per forza approfondire che cosa faccia di un cacciatore col cane da ferma uno specialista, e che cosa faccia di un semplice cacciatore appassionato di caccia col cane da ferma un bravo cacciatore, o il suo contrario.

Quindi, abbiamo ritenuto giuste dare vita a un ciclo di articoli, dedicati soprattutto ai più giovani, dove sarà mia cura fra memorie e note tecniche, iniziare a delineare una sorta di percorso di formazione culmine del quale la possibilità concreta di potersi dire cacciatori per davvero.

Generici dapprima, cinofili poi, e quindi, per chi vorrà, finalmente specialisti.

Un percorso di cui, queste parole poverette, sono solo il primissimo passo a mo’ d’introduzione…

Un cammino per fasi

Cacce "minori" e differenti, comprese quelle senza cane, sono alla base della crescita del cacciatore stesso.

Conosco Gianni Lugari da decenni, e ormai posso tranquillamente affermare di saper leggere persino tra le righe il senso compiuto dei suoi aforismi. E questo perché, pur essendoci trovati tal volta impegnati su fronti opposti in alcune discussioni (questioni per lo più formali e sfumature) all’atto pratico, dopo decine di anni passati entrambi nei peggiori posti del mondo a caccia di tutto, partendo poi entrambi dalle medesime radici ruspanti, lui infilate nelle plaghe dell’Appennino Reggiano, io fra i calanchi prospicienti quello Marchigiano, alla fine ci siamo sempre ritrovati in piena convergenza di vedute, arrivando tutti e due in planata laddove si dissipa ogni opinione e conta solo la verità, cementata poi da centinaia di esperienze quale prova!

Che, come tale, è unica, immutabile e non ammette discussioni anche se a volte sorprende e può fare male chi preferisce vivere di illusioni.

Ricordiamocene sempre: noi senza di loro, siamo meno che nulla.

Ora, in maniera analitica quanto razionale, cerchiamo di evidenziare i concetti chiave appena esposti.

  1. Per arrivare a una qualsiasi verità (assoluta o parziale che sia), nella vita come nella caccia, c’è solo una via: quella pratica, ovvero il territorio dei fatti.
  2. Questa pratica, e solo essa, è il requisito chiave per arrivare ad una genuina conoscenza, che poi si può tradurre in costanza di risultati.
  3. Si tratta di un percorso di anni, fatto di tre tappe fondamentali ed ineludibili, che corrispondono a tre basilari fasi della vita.
  4. Gioventù: dove da buoni onnivori, si deve sperimentare di tutto e di più riguardo a quel macro-universo che chiamiamo caccia.
  5. Prima età matura: dove dopo anni ed anni di esperienze, si cominciano a capire i veri amori e le idiosincrasie, le predisposizioni e le avversioni, e soprattutto si inizia ad avere quella conoscenza creata sul campo, che ci fa essere anche buoni giudici sui compagni di caccia da sceglierci, e già più che decenti formatori dei medesimi. Soprattutto se si parla di cani. Perché sappiamo quel che vogliamo e cosa serve per poter sperare di ottenerlo!
  6. Maturità piena: ossia il tempo in cui, assaggiato di tutto, determinati i nostri gusti e preferenze, acquisito bagaglio tecnico ed esperienziale, se lo si vuole si può iniziare serenamente e con piena consapevolezza la carriera di cacciatore cinofilo specialista. Che badate bene, non è non potrà mai essere esclusiva, e per le ragioni che scopriremo poi in seguito…

Come si diventa cacciatore

I cani, lo sentono quando sei "della LORO pasta", anche se non sono i tuoi...

Primo passo è quindi quello di diventare cacciatore. Sapendo innanzitutto che la vocazione è importante, la passione pure, ma senza la malattia, lo scatto non avviene.

Ora, di che malattia parlo? Semplice: quella che Bocchiola definiva il mal di caccia!

Trattasi di morbo che i più fortunati contraggono da bambini, e che porta a trascurare mille altre cose per il bisogno assoluto di cacciare. Travalica l’istinto e la ragione, trattandosi per lo più di una questione spirituale. A metà strada fra l’affinità elettiva e la follia vera e propria. Come dicevo, non si cura, e c’è solo una via per non dover portare per davvero al manicomio l’impaziente: darle libero sfogo!

I sintomi sono chiari, e per capirli basta confrontare il bambino che ne è immune (poveretto) da quello felicemente colto da morbo di Artemide già dalla tenera età. Dove il primo vede solo alberi e uccellini, il secondo appostamenti e bersagli. Dove l’uno nei confronti della natura e i suoi pericoli prova paura o fastidio, l’altro sente nascere un’attrazione morbosa sotto la stella dell’avventura. E alla via così…

Di lì in poi inizierà un cammino che ben conosco, perché fu… il mio!

I primi passi del cacciatore

La troppo spesso mitizzata caccia specialistica, porta a dimenticarsi della bellezza e dell'importanza di quella... generica!

Nato in famiglia di cacciatori, ebbi vita facile. Cioè, fui capito e già da subito lasciato libero d’iniziare a muovere i primi passi in quel vero e proprio processo di regressione che è l’iniziazione venatoria. Già, perché divenire cacciatori è e sarà sempre un cedere quote di umanità e socializzazione, di evoluzione e civilizzazione per ritornare via via sempre più selvatici, primitivi, al fine di poter comprendere i linguaggi segreti della natura (e un domani anche quelli di un cane), e praticarne le vie. Badate bene, non significa abiurare all’uomo in quanto tale, ma saperlo collocare al giusto posto per dar spazio all’animale che è in noi, in modo che possa esprimere tutte le sue facoltà fisiche e istintuali di fianco all’intelletto. L’ambiente fece il resto, facendomi nascere in una casa dove già vivevano due cani, si mangiavano spiedi di tordi e strane, pappardelle alla lepre o al sugo di colombacci, fagiani alla cacciatora e crostini di beccaccia. Il tutto, fra nonno, babbo e amici che nelle sere d’autunno ricaricavano bossoli di cartone dal profumo inebriante…

I fucili erano sacri talismani, e per ciò intoccabili. Ne derivava che per trasformarsi da subito in pionieri predatori, c’era una via solamente: far da soli, ingegnandosi con quello che si poteva fra fionde, trappole e una nuvola di sogni, nell’incolpevole menefreghismo di essere bracconieri senza colpe dinnanzi al tribunale dei greppi!

Ma era lì che si iniziava a capire, e a provare e ad osservare. A studiare e a sperimentare. Giorni fatti di niente, ma preziosi come oro perché erano già tutto: ovvero, le prime gemme dell’esperienza!

L’esperienza

I nostri Fabio e Andrea: due vite a caccia, nel nome dell'amicizia e della cinofilia venatoria!

Cacciatori infatti non si nasce, lo si deve diventare solo tramite due fattori basilari: la volontà e l’esperienza.

La prima sarà fattore fondamentale per sopportare gli sforzi e andare oltre tutte le delusioni che inevitabilmente troverete lungo il cammino. Che ve lo dico subito, è lungo e faticoso. Ma alla fine del quale c’è il premio più ambito: quel bagaglio di fatti e conoscenze senza i quali è impossibile valutare e dunque fare.

Ci vogliono anni per conseguirla, conditi da una volontà indomabile, senza la quale la sola passione è poca cosa.

Perché ci saranno inevitabilmente le cocenti delusioni, le giornate in cui non trovi niente, il clima che ti grida col secco d’estate e il vento freddo d’inverno: “stai a casa”; e tu che invece devi essere capace di ribattergli: “non ti temo”! Con tutta la forza della tua volontà di andare ed esserci, per sperimentare e capire. Perché ogni giorno è una lezione, specie quando sbagli. Soprattutto quando sbagli.

Diceva infatti il grande Michael Jordan: “Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l'ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine… ho vinto tutto!”.

Ci vediamo al prossimo episodio, dove si spiegherà l’importanza di esser sulle prime il più possibile un cacciatore generico, via maestra per prenderci cura dell’unico cucciolo che possiamo tirar su con poca scienza: …noi stessi!