Chiunque allevi cani, o abbia almeno una volta provato a produrre una cucciolata, compie o ha compiuto inconsapevolmente un profondo e complesso processo di genetica e selezione. Dall’osservazione dei soggetti che intende destinare alla riproduzione avrà di certo individuato eccezionali doti venatorie, una certa attinenza allo standard evidenziata dalla compostezza del cane a lavoro, della sua autorevolezza in fase di stazione; o più semplicemente si sarà lasciato guidare da un colpo d’occhio che in modo spontaneo avrà riempito lo sguardo di un’evidente “bellezza oggettiva” che il soggetto gli ha trasmesso. Per coloro che hanno invece approfondito le tante dinamiche della selezione, le caratteristiche morfo-attitudinali, la salute generale, la profonda conoscenza dei genitori e degli avi, saranno stati elementi di conoscenza che avrà avuto l’arguzia di ricostruire per meglio classificare un processo che cominciava ad assumere la forma di un progetto scientifico.
Allevamento: regole e disciplina
Che sia dunque un’attività costruita sull’osservazione empirica, sulla conoscenza storiografica o sull’indagine analitica, l’allevamento porta con sé regole ferree e richiede disciplina per ottenere dagli accoppiamenti quanto di meglio possa produrre in termini di rendimento dai propri cani. Unire due soggetti impegna l’allevatore anche nella tutela della razza e lo coinvolge nel processo di miglioramento morfologico e genetico del patrimonio. I nuovi strumenti di indagine che hanno dato all’uomo la possibilità di “leggere” con puntualità il DNA, stanno influenzando l’indirizzo che la selezione persegue. Ne è rappresentazione palese la sostanziale modifica alle Norme Tecniche del Libro Genealogico del Cane di Razza (DM n.116130 del 22 febbraio 2023, in vigore dal 1 settembre 2023) che vieta l’utilizzo della consanguineità nell’allevamento. La consanguineità è l’unione di soggetti imparentati direttamente o indirettamente, utilizzata in passato per fissare in modo deciso alcune caratteristiche dei cani (nel nostro caso) e rendere le cucciolate più omogenee e ridurne lo scarto. Tuttavia, le approfondite osservazioni e i recenti studi, mostrano come questo processo sia invece fortemente rischioso e porti con sé notevoli minacce per la salute delle progenie. Era cosa nota agli allevatori, ma la disponibilità di supporti scientifici produce una svolta legislativa tale da cambiare le regole del gioco. La consanguineità aiuta sì a fissare alcune caratteristiche ma crea un sistema di riproduzione con soggetti sempre più omozigoti (ovvero con alleli AA o aa) che tendono a deprimere il patrimonio genetico riducendo la varietà delle cucciolate e rendendole più vulnerabili a rischi di morte prematura e problemi irreparabili.
Depressione da consanguineità: che cos'è?
È definita “depressione da consanguineità”, quell’inesorabile spirale discendente verso un fondo genetico sempre più povero e sempre meno vario, tanto da ridurre l’accoppiamento alla produzione di numeri sempre più ridotti di cuccioli, alzare moltissimo il rischio di mortalità, diffondere nella progenie malattie ereditarie. Accade spesso, utilizzando costantemente lo stesso stallone per la riproduzione o accoppiando fratelli e sorelle o genitori e figli, confidando nelle qualità e nel talento di questi soggetti per ottenere cucciolate di alto valore, di precipitare nell’inevitabile decadenza del patrimonio genetico e condannando il proprio “canile” a divenire un ecosistema chiuso destinato a deprimere tutto il lavoro fatto negli anni precedenti. Accoppiare genitori e figli, fratelli e sorelle, o fratellastri e sorellastre, apre alla depressione da consanguineità replicando attraverso soggetti omozigoti un sistema che non porterà che problemi all’allevamento. Nel XIX secolo Darwin aveva già individuato in ben 57 varietà di piante autofecondanti una forte perdita di patrimonio genetico evidente nella scarsa resa delle piante, nel peso relativo inferiore, nella tardività della fioritura e in una ridotta produzione di semi. Caratteristiche che trasferite all’allevamento animale replicano le stesse problematiche nelle cucciolate, con soggetti più piccoli, più fragili, con tassi di mortalità e morbilità più elevati. È indispensabile dunque introdurre nella riproduzione soggetti provenienti da linee diverse (outbreeding), discostandosi quanto più profondamente possibile dalle discendenze e dalle parentele dei propri cani, evitando gli accoppiamenti diretti (inbreeding) o quelli tra nonni-nipoti (linebreeding).
È ormai un valore scientificamente dimostrato quello della resistenza e della longevità dei meticci che, al di là di un aspetto poco “prevedibile” e sicuramente lontano dagli standard delle razze selezionate, dimostra una grande resistenza ai virus, una salute generale migliore e una mortalità nettamente inferiore. Torno a dire, in modo più gergale, che la cultura rurale e la “vita di campagna”, in particolare a certe latitudini del nostro paese dove il “cane di razza” è arrivato più tardi, ben si conoscono queste dinamiche. Da sempre l’uomo apprezza la capacità dei soggetti di dubbia razza di “scegliersi”, di unirsi e generare progenie robuste in grado di attraversare i climi più estremi e le vicissitudini di una vita dura e relativamente selvaggia, per quanto consumata nel cortile delle nostre campagne. Non è mistero che molti di questi soggetti non siano mai stati sottoposti a vaccinazione e per quanto esposti ai virus più insistenti e immersi in ambienti non sanificati, vivendo pure in simbiosi con altri animali domestici, abbiano per generazioni continuato a dare soddisfazioni ai loro padroni mostrando figli, nipoti e pronipoti dotati di grandi doti di intelligenza, equilibrio psichico, capacità di interpretare ruoli diversi come cane da compagnia, cane da caccia e cane da guardia. Il nostro intento è ovviamente diverso ed è quello di promuovere e tutelare sempre più il cane di razza, migliorarne la salute generale e continuare nel duro processo di crescita dei soggetti che ci siamo scelti come compagni di caccia.