E’ la mano dell’uomo, del conduttore, a compiere quelle azioni determinanti che condizionano il soggetto e lo spingono ad assumere atteggiamenti corretti e in linea con le sue finalità. Il nostro orgoglio è la prima trappola da evitare nel lungo percorso dell’addestramento. Il desiderio spesso ci acceca e la convinzione di avere tra le mani il miglior soggetto possibile, perché figlio di genitori campioni o proveniente da un allevamento blasonato, o semplicemente erede della nostra Dina, la cagnolina infallibile con cui per tanti anni avete cacciato nelle vostre zone, spinge ognuno di noi ad accelerare i tempi, a pretendere dal cucciolo una precocità che magari non gli è propria o peggio ancora, non riservare all’avviamento del cane tutto il tempo necessario decretando finito il tempo di prova e rilegato il cane nella panchina dei soggetti fallimentari.
Prima condizione: l’avviamento di un cane non avviene nel bosco o a contatto visivo con la preda cui è destinato. Avviene in canile, nei lunghi mesi che separano il cucciolo dalla sua prima uscita. Nel canile si sperimenta la competizione con altri soggetti, fondamentale per la formazione del carattere e la vita in branco, si riconosce il leader del gruppo, che non sarà semplicemente un cane adulto dominante all’interno del box, ma voi nel ruolo di guida ed educatore. Nel canile si crea il legame tra cane e conduttore.
Il cane da caccia deve cacciare per voi, deve essere legato alla vostra persona, al vostro modo di vivere i boschi e gli ambienti naturali, dal quale assorbirà serenità o tensione proprio in relazione alla vostra indole e alla vostra capacità di trasferire tranquillità al cucciolo.
Non è scientifico, ma facilmente visibile, come i segugi di un canaio abbiano delle affinità con l’indole del proprio conduttore, non è un ponte trascendentale, è solo un trasferimento di ansie e paure, o eccessiva aggressività e mancanza di organizzazione, a volte non visibili, che inculchiamo ai nostri cani in giovane età, un po’ come i genitori troppo apprensivi o libertari fanno con i loro figli. La dose di controllo e libertà deve essere misurata dalla vostra capacità di percepire il cucciolo e accompagnarlo nelle fasi principali della sua esistenza. Ecco perché ancora prima di pensare a conoscere il vostro cane dovremmo conoscere noi stessi.
Dovremmo capire i nostri limiti e le nostre qualità, i pregi e i difetti che con tutta probabilità trasferiremo ai nostri cani. Questo passaggio è fondamentale per scegliere la razza ed evitare di incrociare il nostro temperamento più focoso e irruento con soggetti tipicamente più pacati e meditativi, oppure l’esatto contrario, accostare soggetti risoluti e pieni di iniziativa alla nostra indole più calma e al nostro modo di cacciare più ragionato e costruito. Sono accoppiamenti sbagliati cui si presta sempre poca attenzione e che molto spesso producono fallimenti nella gestione dei cani.
Prima di condurre un soggetto al cospetto della preda, questo deve conoscere l’ambiente in cui dovrà esercitare la sua professione, abituarsi a odori, presenza di altri animali, terreni e condizioni climatiche, rumori e presenze che se affrontati in giovane età sono un gioco di scoperta piacevole e smaliziato che lo terrà a riparo da scoperte improvvise in età adulta quando il carattere e le abitudini ormai consolidate potrebbero ingenerare l’esplosione di traumi irreparabili. La paura allo sparo è uno di questi.
Non esistendo soggetti uguali è impossibile stabilire processi educativi standard e l’osservazione e la conoscenza dei singoli individui sarà il miglior modo di applicare queste regole fondamentali.
I mesi di reciproca conoscenza sono determinanti, tutto quello che raccoglierete dopo sarà frutto di questo lungo e amorevole periodo di conoscenza. Scordatevi il precoce contatto con il selvatico, la vista del coniglio o del vecchio cinghiale nel recintino del vostro amico, dimenticate le infantili seguite “a vista” dietro a cinghialotti in recinti poco più grandi di un pollaio, arriverà anche quel momento, ma nella prima fase di vita il cucciolo va instradato e messo nelle condizioni di crescere sereno e curioso, a voi sta il ruolo di creare queste condizioni.
Quando la sua curiosità diventerà pervasiva e insistente allora potrà fare la conoscenza dell’odore della preda che inseguirà per il resto della sua vita. Un zampetta fresca di cinghiale, un pezzetto di pelle, basta un elemento pregno dell’odore di quell’animale per creare un po’ di confidenza con il pelame ruvido dell’irsuto. In tal senso ricordatevi un aspetto determinante: il cane segue la pista del cinghiale fiutando i batteri presenti tra le unghie e tra i peli che si depositano sul terreno e sulle foglie durante il pascolo notturno del cinghiale, ma l’atto dello scovo e il cambio di approccio sarà fatto sul fiato dell’animale vivo. L’alito del selvatico si diffonde attorno alla lestra inebriando i milioni di ricettori del vostro cane. La seguita stessa è perlopiù condotta sul fiato del cinghiale, pertanto non illudetevi che una zampetta o un pezzo di pelle possa aver completato la conoscenza dell’animale. L’approccio diretto al selvatico, quello di cui dicevamo sopra, in piccoli recinti o in condizioni facilitate, non è assolutamente il primo passaggio.
A meno che non vogliate continuare a facilitare la vita del cucciolo. Sono le difficoltà che fanno emergere le qualità, questa regola vale per noi come per loro. Portarlo in esterna in condizioni “normali” è la cosa migliore e il mancato scovo o giornate intere spese a passeggiare senza esito per i boschi, sono un momento pedagogico importantissimo. Se poi il cucciolo ha la fortuna di vivere in muta sarà sicuramente facilitato e ben presto troverà interesse nel seguire i propri compagni. Quando i suoi movimenti e la sua sicurezza vi faranno intendere che il soggetto trova interesse per il selvatico, lo seguita (anche se per qualche centinaio di metri), ne percepisce la presenza, lo insidia, allora è il momento di portarlo in piccole strutture in cui la facilità di scovo e di seguita compenseranno la sua ancora scarsa esperienza.
Non passeremo mesi nei piccoli recinti, le abitudini nei cani fanno presto ad attecchire e non vorrete viziare un giovane soggetto a scovare il cinghiale in pochi minuti appena sceso dal carrello. Una delle condizioni che ci tengo a sottolineare e che spesso trascuriamo è il cambiamento di luoghi e strutture. Il cane sviluppa una memoria solida e impara meglio di noi a conoscere i luoghi in cui il cinghiale si ripara. Presto caccerà a memoria preferendo la conoscenza del territorio alla parsimoniosa ricerca dei cinghiali. Vale per le strutture di addestramento che per le zone di caccia. Pertanto il segugio va condotto in zone diverse, va messo alla prova fin da giovane in strutture e terreni di caccia diversi, perché non perda mai l’abitudine di utilizzare le sue capacità.
Quando un soggetto “fallisce” è tipico sentire il suo conduttore sbraitare contro le scarse capacità del cane e rimproverare la fallacità della selezione. Al contrario, quando il soggetto garantisce delle buone prestazioni si evidenzia come sia stata la nostra mano l’elemento determinante che ha modellato quella materia informe per trasformarla in un vero talento. Come detto l’orgoglio spesso ci rende ciechi e incapace di vedere quanti errori compiamo e quanto poco consapevoli siamo delle nostre responsabilità. Abbiate pazienza, premura e serenità. Lasciate che sia l’orologio venatorio del cane a far scoccare l’ora delle grandi seguite. Non accelerate i tempi e non frenateli nemmeno se il cane avesse desiderio e sicurezza nel voler partecipare alla caccia. Non c’è età per diventare adulti e non c’è età per essere dichiarati vecchi. E’ la natura a fare il suo corso, noi siamo spettatori attivi, interpretare al meglio questo ruolo vuol dire intraprendere la migliore strada nell’avviamento del nostro cane a caccia. Il segugio non sarà li per imparare ma per insegnarvi come svolgere al meglio questo ruolo. In verità si insegna il conduttore per lasciar esprimere il cane. Buona fortuna a tutti.