La destinazione elettiva era al cacciatore di cinghiali in braccata, ma fin dalle origini si capì che un fucile di quel genere avrebbe potuto avere ulteriori sviluppi. L’impianto dell’arma, con funzionamento a sottrazione di gas e otturatore con testina rotante, in fin dei conti era uno dei più collaudati, essendo quello di Kalashnikov e di Stoner, pur con le differenze nella presa di gas che nell’Argo, con pistone a corsa corta, si colloca in un certo senso a metà tra la soluzione russa a corsa lunga e quella americana senza pistone.
In più, qui c’è la regolazione automatica (ARGO significa Auto Regulating Gas Operated, ci dev’essere un system o un rifle sottinteso da qualche parte). I gas prelevati si espandono nel gruppo presa gas e la pressione, oltre a muovere il pistone a corsa corta, apre una valvola a spillo che scarica i gas in eccesso. Quanto maggiore è la pressione, tanto più rapidamente si apre la valvola. Poiché il limite elastico dei materiali non è solo una funzione del valore assoluto del picco pressorio, ma anche della sua durata, l’equilibrio del sistema è assicurato.
Il posizionamento del sistema di ripetizione, con presa di gas immediatamente davanti alla camera di cartuccia, garantisce un agevole brandeggio dell’arma, che ne fa un partner ideale del cinghialaio, e non solo: l’arma, in effetti, è decisamente sovradimensionata per l’uso di caccia. Ma tutto quello che è realizzato dall’uomo, in linea di massima, può essere migliorato fino all’estremo limite, raggiunto il quale l’equilibrio tra forma e funzione sconsiglia ulteriori modifiche. Ecco che quel sistema Argo è, che nella sua impostazione classica non può subire rivoluzioni in quanto ne uscirebbe qualcosa di totalmente diverso, si sottopone tuttavia ad una evoluzione che vede l’impiego di nuovi materiali, il ridisegno di alcuni componenti critici (non sarebbero tali nell’uso normale ma, come vedremo, si vuole andare oltre), la modifica del pistone. Naturalmente trovano applicazione anche quei componenti e quelle tecnologie che hanno avuto origine dopo la presentazione dell’arma e che possono migliorarne le condizioni di utilizzo.
Fibre ottiche, sistemi di riduzione del rinculo, trattamenti speciali della canna a anche nuovi zigrini più performanti trovano, come è lecito e doveroso, ampia applicazione. È nato il sistema E, almeno in ciò che consentirà di giustificare la sigla, che rappresenta il vocabolo inglese Endurance, che significa sia resistenza sia durata. In fin dei conti, le due caratteristiche sono complementari ed inscindibili.
Si accennava alle molte altre possibilità di impiego dell’arma, in aggiunta a quella sportiva per la caccia agli ungulati. Ma queste si scontravano con una mentalità dei militari, che rappresentano pur sempre il maggior mercato del mondo.
Gli Stati Maggiori, a torto o a ragione, diffidano di un’arma nata per impieghi sportivi, benché non poche volte anche le armi nate per elettivi scopi militari si siano dimostrate non all’altezza di un impiego gravoso e questo anche nel caso di armi splendidamente costruite, come la pistola Parabellum o il Breda 30. Da qui nasce, in Benelli, l’idea di sottoporre l’arma, in condizioni controllate, al test di durata, per effettuare il quale è stato scelto il Banco Nazionale di Prova di Gardone Valtrompia.
Si sono dette molte cose a proposito del Banco ma nessuno può negare che, sotto la direzione dell’ingegner Girlando, tutti gli aspetti tecnici siano assolutamente rigorosi. In sostanza, sparando migliaia di cartucce militari, il fucile di Benelli si è collocato in classe A, la migliore, mentre il migliore dei concorrenti utilizzati per la prova comparativa è finito in classe C. Gli altri due si sono posizionarti nelle classi D ed E; nessuno in classe B. Sarà merito del trattamento criogenico della canna, sarà merito delle nuove tecnologie adottate che privilegiano il TiN sulle anodizzazioni, ma è difficile non pensare che possa essere merito anche del fucile.
Il quale, nella versione che stiamo esaminando, si presenta con mire metalliche, tradizionali e contemporaneamente innovative nel senso che la tacca di mira è su una bindellina in fibra di Carbonio, per non turbare il regime vibratorio della canna, e che sono state usate fibre ottiche e non il solito spezzone di lucite. La regolazione in deriva del mirino ha un riferimento costituito da una serie di segmenti bianchi sulla base, con un segmento di riferimento sul blocco mirino; la regolazione in altezza, per via del peculiare meccanismo, è difficilmente identificabile con lo stesso metodo, ma si può supplire tracciando delle linee sull’elemento che regge la fibra ottica. Magari si possono tracciare quelle linee dopo aver azzerato l’arma a 50, 100 e 150 metri, distanze adeguate – e l’ultima forse già abbondante – per delle mire da caccia.
Alla posta, una volta stabilito a quale distanza verosimilmente si tirerà, basteranno pochi istanti per regolare la mira anteriore. Per il resto, i comandi sono quelli consueti, con il pulsante della sicura ad azionamento normale rispetto all’asse dell’arma la cui posizione di sicura è evidenziata in rosso ed il comando di sgancio del caricatore posto davanti al guardamano. Il magazzino ha la capacità di quattro colpi, per il calibro che stiamo esaminando. Il legno di noce è di buona pasta, ben mineralizzato e piacevolmente venato; lo zigrino è a piccoli triangoli - loro lo chiamano “wood touch” - e ha la caratteristica di garantire una presa salda senza irritare la mano.
All’estremità del calcio è posto un calciolo in gomma morbida a deformazione controllata che naturalmente non può ridurre il rinculo, visto che questo obbedisce al terzo principio della dinamica, ma lo distribuisce su una superficie maggiore e su un intervallo di tempo più lungo, alleviandone la sensazione e contribuendo a mantenere il puntamento.
E adesso aspettiamo gli sviluppi. Il fucile Argo serie E si declina in quattro diverse versioni, ma per ora tutte sono dedicate alla caccia. È molto probabile che non finirà qui.