Rammentare chi sia stato Ernest Hemigway per il mondo venatorio, è sempre un piacere. Non uno scrittore di caccia, infatti; e nemmeno un testimonial di prestigio di questo nostro mondo. Ma Lo Scrittore in quanto tale, che era anche un cacciatore, e ne scrisse e raccontò come dopo di lui nessuno mai: da premio Nobel per capirci, e nulla meno.
Davvero, credo che nessuna passione, hobby, attività abbia avuto padre nobile più nobile di quel che Hemingway fu per la caccia.
Anzi, lo è ancora tanto che basta in una qualsiasi “litigata” da bar con un animalista che tu lo nomini, e di colpo quello sbianca.
“Se la caccia è tanto ignobile come dici te, perché allora Hemingway era un cacciatore? E che cacciatore?! E perché poi ne ha parlato così tanto di caccia, dai suoi romanzi ai suoi racconti, eh?!”
Voilà, uno a zero e palla al centro!
Ora, deve essere stato con questo ben in mente che in Bernardelli, quando pensarono di alleggerire la leggendaria serie Roma per creare la doppietta perfetta per il cacciatore dedito soprattutto alla caccia vagante (soprattutto se col cane da ferma), alla voce “nome” subito gli venne in mente la dedica a “Big Papa”!
E così, Hemingway fu!
Attrezzo quindi due volte straordinario: per il nome innanzitutto, che la trasporta nel mito; e per il “cognome” poi - Bernardelli - da sempre la leggenda della doppietta da caccia di qualità in quanto tale.
La serie Roma quale termine di paragone, coi suoi acciai trilegati di qualità superiore, le lavorazioni certosine, molte delle quali integralmente a mano, i legni selezionati e precisione meccanica al micron, il tutto sposato poi a una robustezza estrema e a delle qualità balistiche di vertice.
Ecco, qui arriva la serie Hemingway, quale risposta nel versante ultralight alle medesime esigenze, senza cedere alle sirene del cambio di materiali e dello scadimento della qualità generale dell’insieme.
Mantenendo infatti la medesima tecnica costruttiva dei modelli Roma, la Hemingway viene realizzata riducendo gli ingombri della bascula e delle canne. Questa operazione rende la doppietta più simile ad un calibro 20 anche in 12 (anche se, se ne produce in ogni caso in calibro cadetto). Ne è derivata un’arma leggera, di facile impiego, adatta a tutti i tipi di caccia: ricercatissima ormai, soprattutto dai beccacciai e dai cacciatori che amano marciare a lungo nei luoghi più impervi, quali i cacciatori di montagna e i beccaccinisti.
È un evergreen quindi, che oggi rispetto al modello originale presenta pure alcune modifiche di carattere estetico che conferiscono all’arma un aspetto classico con una serie di incisioni particolarmente curate e di alto pregio, capaci di dare all’insieme un valore inalterabile nel tempo.
di Roberto Allara
Parlare di una doppietta Bernardelli riporta alla mente la storia delle armi italiane del XX secolo, ma anche nei periodi precedenti, tanto che la prima registrazione di un Bernardelli armaiolo è del 1631. Con indubbio senso degli affari, Bertolino Bernardelli sposò in quell’anno Maria Acquisti, la cui famiglia possedeva varie fucine armiere.
Novant’anni dopo troviamo un contratto con cui i fratelli Bernardelli, verosimilmente nipoti o pronipoti di Bertolino, acquistano una fucina per la produzione delle armi. Nell’Ottocento fu il turno di Vincenzo Bernardelli, mentre nei primi anni del Novecento l’azienda trovò la sede che avrebbe conservato per più di settant’anni, lungo la via principale di Gardone e vicino al confine tra Gardone e Inzino. L’insegna è ancor oggi visibile e all’interno del vecchio stabilimento operano ancora degli armaioli.
Tra le iniziative Bernardelli va citata l’installazione di una centrale idroelettrica all’interno dell’azienda di una centrale idroelettrica che sfruttava le acque del Mella, fino a quel momento e ancora per anni sfruttate dalle aziende gardonesi solo per muovere le ruote idrauliche. L’azienda fu anche la prima a meccanizzare la produzione delle bascule, che fino a quel tempo erano scolpite a martello e scalpello a partire da sbozzati fucinati. Negli anni l’azienda produsse anche armi corte, a partire dall’ordinanza modello 1889. Produsse alcune pistole semiautomatiche e dei revolver di qualità eccellente, che non conobbero il meritato successo per la scelta aziendale di produrre solo nel calibro massimo .32 SW Long mentre tutti cercavano quantomeno il .38 Special. La considerazione in merito al potere d’arresto che consiste non nella cannonata ma nella precisione del tiro era corretta, però il mercato non l’accettò. Produssero anche un fucile d’assalto e, su licenza, una copia del Galil.
In seguito a vicissitudini aziendali l’attività fu rilevata da un’azienda turca; la produzione è attualmente a Torbole Casaglia, alle porte di Brescia ed è concentrata sulla produzione di fucili a canna liscia giustapposti, a pompa e semiautomatici. In omaggio alla tradizione aziendale, il fucile a due canne è solo di tipo giustapposto. D’altra parte, stabilito che la doppietta è un fucile difficile, che richiede competenza e manualità, chi è in grado di costruirlo e bene che continui a farlo. Quanto al punto di vista dell’utente, ricordiamoci che secondo i vecchi cacciatori chi impara a sparare bene con la doppietta poi sparerà bene con qualunque altro fucile.
Questa Hemingway, nella sua semplicità di linee con struttura boxlock, si presenta con una eleganza discreta ma ben avvertibile. Incominciamo con il dire che le batterie di quest’arma, benché definite di tipo Anson & Deeley, si discostano dalla versione originale con molle a lamina e percussore integrale al cane. Qui la disposizione dei perni visibili fa pensare ad una soluzione più radicata nel Bresciano, con molle elicoidali. Non c’è nulla di male in questo: le molle elicoidali, oltre che da Leonardo nel famoso disegno della batteria a ruota del Codice Atlantico, furono impiegate da Joseph Lang, costruttore di fucili finissimi. Non si tratta, quindi, di una soluzione di second’ordine. La molla elicoidale è più economica, ma è meccanicamente migliore e più affidabile rispetto ad una molla a lamina a due bracci. Ma la cosa che colpisce al primo impatto visivo è la linea snella dell’arma.
Ad un esame più accurato, sono ridotti gli ingombri della bascula e delle canne, che viste in volata sono molto strette. Questo consente di mantenere basso il peso, per cui l’arma in calibro 12 pesa meno di tre chili. Soprattutto consente di avere un’arma snella ed agile, più simile nel brandeggio ad un calibro 20 che ad un calibro 12. È un fucile di facile impiego che si adatta bene ad ogni tipo di caccia, agevolato in questo dalla possibilità di scegliere la lunghezza delle canne con una variabilità di misure che si estende dai 60 ai 74 centimetri in cinque intervalli di lunghezza. L’aspetto filante è sottolineato dal calcio in radica di noce, di buona pastosità e con fiammature ben contrastate, finito con calciolo a legno. Lo zigrino, su calcio e astina, è eseguito a laser.
La parziale corrugazione a laser eseguita sul calciolo non toglie eleganza all’insieme, che riporta in un settore liscio lo scudetto Bernardelli con il cigno. Peccato per le viti con taglio a croce; sono davvero povere ma in questa classe di prezzo non si poteva pretendere di meglio, visto che le viti con testa a taglio devono essere orientate con i tagli nella stessa direzione. Facile a dirsi – meno a farsi – sull’acciaio, ma quasi impossibile su viti a legno. Se poi proprio queste non piacciono, un calciolo classico in gomma rossa risolverà il problema estetico.
Va detto qualcosa sul comando del monogrillo, che ha una collocazione inconsueta per un europeo. Il fatto da tener presente quando si parla di armi è che il mercato più grande è quello nordamericano, e gli americani non accettano l’indicazione di prima e seconda canna comune in Europa. Nei sovrapposti, quelli per gli States recano al selettore le indicazioni U (under, prima canna) ed O (Over, seconda canna). Ma per le doppiette, che per la verità negli Usa non sono diffuse, quel tipo di indicazione non ha tradizione e sarebbe difficile trovarne uno univoco. Mentre lo spostamento di un elemento a bandiera che si colloca davanti al grilletto è inequivocabile: si effettua con lo stesso dito che spara e segnala con estrema chiarezza quale sia la canna in gioco. Ed è un elemento in più per la conquista di un mercato interessante e stimolante. Le mire sono quelle ormai classiche, con mirino a perla all’estremità della stretta bindella liscia.
L’abbellimento è dato da un’incisione a laser con elementi ripresi o interamente realizzati a mano, come appare evidente dalla parte inferiore del guardamano. La firma: Inc(isori) Bresciani” non potrebbe essere apposta se si trattasse solo di una decorazione a laser, pur se il disegno deve necessariamente essere stato realizzato da qualcuno. Tutto l’insieme dell’arma costituisce un fucile classico, ma modernamente interpretato, che trova degnamente la sua collocazione nella rastrelliera di un cacciatore esigente.