Quando è nata l’idea dell’abbigliamento, la relativa divisione si chiamava Beretta Sport. E quasi subito è arrivato Ernesto Tino Girombelli. «Beretta sport era il primo nome della divisione che poi cambiammo in Beretta clothing & accessories division. La famiglia aveva indicato come responsabile della divisione Franco Gussalli Beretta allora trentunenne. Io sono stato il primo manager che lui ha scelto in autonomia. Lui dice di aver avuto quattro mentori e io sono uno di quelli: ne sono più che onorato. Se ci ho lavorato per 25 anni, vuol dire che ho portato risultati… mi riempie professionalmente di orgoglio. A distanza di tempo continuiamo a vederci e a sentirci. Sono sempre in ottimi rapporti personali con la famiglia».
Girombelli, classe 1952 di Civitanova Marche (An), è stato direttore divisione Abbigliamento & accessori di Beretta fin dall’inizio, ne ha accompagnato la nascita e lo sviluppo, dopo aver trasformato l’azienda di famiglia Reporter da produttore per la grande distribuzione a brand di livello internazionale. È stato consulente e manager in Beretta Usa per 5 anni della major di Gardone fino a un paio d’anni fa. Non si occupa più di caccia in maniera operativa, «mi piace però tenermi sempre aggiornato soprattutto nel seguire i nuovi materiali che arrivano sul mercato. Se qualcuno volesse approfittare delle mie esperienze io sono a disposizione…».
Girombelli, la moda era ed è il suo mondo, ma certo non dev’essere stato facile nel 1995 a Gardone...
«Tra produrre un fucile o un giaccone ci sono logiche e realtà completamente diverse… Appena vidi la realtà di una azienda metalmeccanica che vuol fare abbigliamento, dissi alla famiglia che forse sarebbe stato il caso di trovare un buon produttore a cui dare in licenza questi prodotti e controllarlo obbligandolo a usare gli agenti Beretta per la distribuzione. La risposta fu che loro sono imprenditori e, se anche la strada sarebbe stata più lunga e costosa, loro volevano avere all'interno dell'azienda il know-how per produrre. Oggi Beretta è in grado di produrre una serie di capi nelle varie parti del mondo con un range di prezzi che spaziano dall'alto al basso e che consentano di essere competitivi sui vari mercati. Missione compiuta! È un bel patrimonio all'interno dell'azienda!».
Negli ultimi anni si sta affermando un modo di vestire, uno stile, che trae ispirazione dall’abbigliamento sportivo più tecnico. Cosa ne pensa?
«Andare verso capi tecnici è un movimento che è cominciato da una ventina di anni. Beretta clothing & accessories tra i precursori. Trovo assolutamente positivo e stimolante creare nuovi prodotti che partono tutti dai tessuti più innovativi. Lo stile a caccia è sempre più tecnico: è il segreto del successo di Trabaldo, solo in Italia, però, e lo dico con enorme rispetto. Devi dare tecnicismi, silenziosità e fondamentale è la ricerca dei materiali. Nel 1995 le burocrazie di Goretex e Beretta si erano incagliate e non collaboravamo. Per me era importantissimo abbinare ai prodotti Beretta i tecnicismi di Goretex. Con l'aiuto di Franco abbiamo sbloccato la situazione e ancora oggi le due aziende sviluppano cifre d'affari molto, molto interessanti. Una volta studiammo anche un tessuto esclusivo in collaborazione proprio col top dei fornitori tecnici che era un Cordura “rivestito” di cotone, con fodera Goretex. In quel capo, il nostro mitico modello Gun 6, potevi trovare silenziosità, antipioggia, antirovo, leggerezza e ottima ergonomia. Un successo grandissimo che ancora oggi non è più stato eguagliato».
Perché ha incominciato a occuparsi di abbigliamento per la caccia?
«Dopo le mie esperienze nel mondo della moda, ho cominciato a lavorare con Beretta perché ero stimolato da una nuova sfida manageriale con alle spalle un gruppo forte e solido che se convincevo ad assecondarmi in un progetto non aveva nessuna difficoltà a supportarmi».
Lei è cacciatore? Come ha costituito il suo know-how relativo?
«Entrando in Beretta non puoi non essere cacciatore. Ho sviluppato il mio know-how applicando le regole basiche per ideare e sviluppare una collezione per poi adattarlo alle esigenze delle varie cacce nel mondo e, devo dire, non è stato difficile. Basta capire le varie esigenze e proporre le risposte».
Per la sua esperienza, quali sono i capi principali e tradizionali, i must per la caccia nel mondo?
«Non esiste un capo principale che possa andare bene in tutti i mercati. Beretta, per esempio, opera in tutti mercati del mondo. In Italia andare a caccia di ungulati richiede capi ben precisi: l’antirovo è indispensabile e adesso anche l’alta visibilità, per la piuma si passa dagli acquatici (da marchigiano però dice “papere”, nda) dove l’importante è l'impermeabilità, alla caccia ai fagiani che non richiede grandi specificità. Il colore è il verde e c’è ancora poco camouflage. La Francia è molto simile all'Italia, ma il colore è un marrone particolare. Camouflage in discreto sviluppo. In America è tutto camouflage: indispensabile per le vendite, ma dubito che sia indispensabile per cacciare. Per scherzo dicevo ai miei amici clienti yankee che le loro anatre sono più intelligenti delle nostre: negli Stati Uniti se non hai il camo dicono che non le prendono, noi in Italia le prendiamo da decenni anche se siamo vestiti di verde! Per gli ungulati ne usano un tipo diverso da quello delle anatre, che è diverso da quello dei tacchini, che è diverso da quello dei fagiani. In Gran Bretagna la caccia è uno “sport” per benestanti: vigono i completi in lana e cashmere con fantasie a quadri, ma il tessuto deve avere caratteristiche tecniche. In Germania la caccia alla piuma è poco praticata, ma c’è tanta caccia agli ungulati con tessuti tecnici relativi. Il colore è un marrone diverso da quello francese. In Nord Europa si usa molto camouflage specifico e diverso per ogni tipo di caccia. In tutto il mondo, tranne una limitata serie di cacciatori di élite che non hanno problemi di spesa, il fattore prezzo è molto importante. La nostra linea Safari va molto bene: è un abbigliamento identico in tutte le parti del mondo, costituito da una serie di sahariane sempre iconiche. Per gli inglesi abbiamo realizzato la linea St. James con lana e cashmere, che è diventata trasversale per i ricchi di tutto il mondo…».
A quali canoni si è ispirato per le sue collezioni?
«Il grande lavoro è stato quello di ispirarsi per sviluppare diversi prodotti adatti a ogni singolo mercato. È stato molto impegnativo, ma se lavori per Beretta non puoi fare altrimenti. Voglio sottolineare anche l’impegno svolto sulle fonti produttive in tre aree del mondo. In Italia per i prodotti di alta gamma più cari; in Europa per i prodotti intermedi come prezzo, ma con i tessuti esclusivi studiati per noi e la façon (lavorazione in serie, nda) nei Paesi dell'Est; in Far East per prodotti di entry level price con tessuti e façon interamente provenienti da quella parte del mondo. Ricercare fornitori seri, per qualità e per precisione nelle consegne, è stato veramente un lavoro molto impegnativo. Queste conoscenze hanno permesso anche di aggiudicarsi alcune commesse militari molto sostanziose».
Cosa fa davvero la differenza?
«Se non hai alle spalle un'azienda che può supportare le ricerche per le varie necessità mondiali, non riuscirai a fare nessuna differenza. Devi poi avere la possibilità di studiare le varie necessità e c'è bisogno di grande professionalità e competenze molto forti. Noi siamo stati innovativi, tra i primi a dare enfasi su innovazione, tessuti e fodere. Per spiegare il “peso” di Beretta: ho avuto l'incarico dalla famiglia di fare alcuni outfit per George Bush senior, allora presidente degli Stati Uniti. Missione piena di tensione perché ho avuto il presidente solo una volta per prendere le misure. Tutto è andato molto bene e mr. Bush mi ha inviato una foto vestito Beretta dicendo che in quella cacciata era il più elegante! Durante la mia gestione abbiamo sviluppato accordi di co-branding con Victorinox, con Marinella cravatte e soprattutto con Brooks brothers. E iniziato il progetto “shop in shop”, ovvero il metodo con cui abbiamo fidelizzato I nostri clienti più importanti e più smart. Siamo riusciti a finalizzare partnership commerciali creando all’interno delle armerie, un vero e proprio “mondo Beretta” dove esporre in modo chiaro, ordinato e preciso tutta la nostra gamma prodotti ovvero i fucili, i nostri accessori e i ricambi e, ovviamente, il nostro abbigliamento».
Premessa all'intervista: queste sono le memorie storiche di Ernesto Tino Girombelli, che non lavora più per Beretta da diversi anni. Intervista: Dr. Massimo Vallini.