La moda della caccia, questione di stile

Vestire bene e comodi è fondamentale, soprattutto a caccia. I produttori italiani offrono sempre il meglio…

“Alla cacciatora”, secondo l’enciclopedia Treccani, significa alla maniera dei cacciatori. “Si dice in particolare dei vestiti che indossano usualmente i cacciatori, per lo più di velluto a coste: i calzoni a gamba (sotto il ginocchio, ndr) da portare con gli stivaloni, la giacca (giacca alla cacciatora, ma anche semplicemente cacciatora) con martingala e tasche laterali coperte, o posteriori, per la selvaggina”.

Nell’immaginario collettivo un cacciatore è vestito con giubbotto multitasche, coppola e stivaloni di gomma, fucile alla spalla. A seconda di come la si pensi sulla caccia, un perfetto gentiluomo in stile inglese oppure un cacciatore vestito con la vecchia “verde” dell’esercito, gilet e magari una giacca militare sdrucita. A noi cacciatori interessa come ci vedono “gli altri”? Dovrebbe. Ma, naturalmente, interessa molto di più indossare un abbigliamento comodo e adeguato, tecnico per muoversi con libertà, sopportare le condizioni climatiche avverse e avere la migliore sicurezza.

Cacciatore con cane e fregio con corno da caccia cane e selvaggina, manifesto fine 1800 di Ottavio Rodella detto Tavio.

I tempi del cacciatore vestito alla bell’e meglio sono trascorsi: adesso quando si va in giro per boschi, occorre avere un equipaggiamento tecnico adatto, che agevoli i movimenti e sia realizzato con i tessuti moderni che assicurino traspirabilità, tenuta della giusta temperatura corporea e resistenza agli strappi.

Questi tessuti hanno anche il vantaggio di essere particolarmente silenziosi e non disturbano il cacciatore e soprattutto gli animali durante la giornata venatoria. I migliori colori neutri che si adeguano all’ambiente sono: verde e marrone d’inverno e verde e beige d’estate. Secondo le nuove normative regionali, è quasi ovunque obbligatorio un abbigliamento che contempli profili o capi ad alta visibilità (generalmente arancione), per garantire la sicurezza.

Lo “stile” dell’abbigliamento italiano a caccia

A suo tempo in Italia vestivano alla cacciatora i soli ricchi e adottavano un abbigliamento sportivo, ma elegante. Le giacche e i pantaloni erano comodi, mutuati spesso da quelli per equitazione. Non mancavano le ghette per non bagnare i piedi, ma nemmeno la cravatta abbinata per colore o un fazzoletto. In Inghilterra, questo pezzo di stoffa era nato, col nome di “plastron”, per fungere da laccio emostatico in caso il cacciatore si fosse ferito.

Giacca Barbagia prodotta da Bagella (bagella.it) in velluto liscio pelo rasato: davanti tre tasche senza pattina, dietro carrè con martingala e uno spacco.

Solo in Sardegna e in Toscana si è sviluppata una cultura dell’abbigliamento venatorio un po’ differente e originale, che deriva dalla lavorazione della lana e dalla confezione di abiti per lavoro e quindi anche per caccia.

In Sardegna si faceva largo uso del velluto a coste o liscio pelo rasato dalla metà dell’Ottocento e dell’orbace. L’orbace è un tessuto ottenuto dalla lana di pecore sarde, resistente e impermeabile, prodotto artigianalmente. La particolarità dell’orbace, ottenuto selezionando i peli più lunghi durante la fase della cardatura, è quella di aver subito, dopo la tessitura, un processo di follatura che ne provoca l’infeltrimento, in modo da ottenere un panno robusto e impermeabile, normalmente prodotto in colori scuri, perlopiù nero o grigio. Interi villaggi, in Sardegna, erano dediti alla produzione di orbace che costituiva il tessuto più usato per l’abito tradizionale maschile: non solo per giacca e pantaloni, ma anche per il copricapo (“sa berritta”) a forma di sacco, il corpetto e persino “is ragas”, il gonnellino.

La famosa “Maremmana” durante i secoli scorsi veniva indossata dai butteri, ossia i pastori a cavallo e i pungolatori dei buoi. Con l'avvento della modernità è caduta in disuso, ma ha ottenuto la sua rivincita proprio grazie alla caccia. Attualmente è divenuta un capo sempre più ambito e apprezzato, non solo a caccia, per la sua eleganza e per la spiccata versatilità.

Catalogo abbigliamento Beretta
Il cacciatore che vuole essere elegante può optare per l’eterno stile inglese, interpretato per esempio da Beretta con la linea St. James in lana e cashmere 330 grammi.

È una giacca in velluto, fustagno (o pilor) con ampie maniche, profonde tasche applicate sul davanti e spesso una posteriore denominata “ladra”, perché in passato si rivelava utile per nascondere il frutto di una caccia imprevista oppure qualche piccolo furto (o atto di bracconaggio) avvenuto nelle campagne. La chiusura anteriore è costituita da grandi bottoni a occhiello. Per quanto riguarda invece la fodera, è in genere realizzata con tela spazzina, poiché, oltre a essere molto elegante e comoda, si rivela perfetta per le temperature più rigide. Talvolta può essere provvista di cinghia porta fucile.

Il cacciatore che vuole essere elegante, magari non soltanto nei drive ai fagiani, può optare per l’eterno stile inglese, interpretato per esempio da Beretta con la linea St. James in lana e cashmere 330 grammi, anche con membrana traspirante Beretta Bwb Evo. Si tratta di una gamma di giacche monopetto con soffietti posteriori, abbinabili a pantaloni “a gamba” ispirati ai classici knickerbockers, giacconi e gilet, berretti a coppola, tutto in varie gradazioni di colori naturali con disegni a quadri.

Dalle Alpi agli Appennini

Quando in Italia si è sviluppata la caccia di selezione, è partita dalle Alpi e ha assunto molti connotati “stilistici” della caccia praticata in Alto Adige e di là da confine: il bruch e il waidmannsheil, ma anche un certo tipo di abbigliamento. 

Qualche anno fa, quando in Italia si è sviluppata la caccia di selezione, è partita dalle Alpi. E ha assunto molti connotati “stilistici” della caccia praticata in Alto Adige e di là da confine: il bruch e il waidmannsheil, per citare i più famosi, cioè l’omaggio alla selvaggina cacciata e il saluto al cacciatore che l’ha abbattuta. In qualche caso, i cacciatori italiani, orfani di tradizione nell’abbigliamento specifico, hanno “copiato” quello tedesco o altoatesino, per sentirsi in qualche modo parte del mondo in cui la selezione era tradizione da molte decine di anni. Quando poi la selezione si è sviluppata anche sugli Appennini, qualcuno ha pensato bene di vestirsi sempre alla tedesca. Più che altro nel prima o nel dopo caccia e nelle manifestazioni o eventi collegati.

Questi cacciatori-gentiluomini si sono ispirati agli abiti tradizionali “Trachten”, tipici delle zone montuose della Germania del sud e del Tirolo. La tradizionale giacca, chiamata “Janker” è molto simile a un’austera divisa militare con spalle squadrate, che non ha i baveri oppure li ha arrotondati e fissati con bottoni in corno al petto, in modo da seguire bene i movimenti del corpo. È dotata di martingale e piega a soffietto sul retro per comodità dei movimenti. Spesso il piccolo colletto, alla coreana, è più scuro, bruno, verde o grigio, e riprende quello dei profili della giacca.

Giovanni Fattori, “Mandrie maremmane”, cm200x300, 1893 (Livorno, Museo civico G. Fattori).

La Janker è perfetta se abbinata al cappotto in loden e ai pantaloni corti o lunghi in pelle scamosciata (di cervo) con tasca per il coltello e, naturalmente ai fantastici copricapi con gamsbart o spille. Anche la giacca può essere in pelle scamosciata, sostituita oggi dalla microfibra. I bottoni sono in palco di cervo, osso o cuoio come quelli del loden che è un panno in lana tipico del Tirolo. La parola loden deriva infatti da “lodo”, che in tedesco arcaico significa appunto balla di lana. La lana cotta e il loden resistono agli urti, alle lacerazioni e ai tagli e le giacche sono dunque resistenti e proteggono dalle intemperie.

Slim, stretch e skinny

Una giacca maremmana prodotta artigianalmente dalla fiorentina Righeschi country (righeschicountry.it).

In Italia ci sono da tempo importanti produttori di abbigliamento sportivo e da montagna. Che hanno mostrato interesse anche per la caccia. Ne sono risultati capi d’abbigliamento perfetti dal punto di vista tecnico, per tessuti, tagli e materiali, e che seguono anche i meccanismi della moda. Se lo stile caccia, definito anche “country” dal mondo della moda che in qualche caso se n’è appropriato, è caratterizzato da un modo di essere e di vestire che spesso è simbolo di buon gusto e sobrietà, oggi l’abbigliamento caccia italiano non disdegna quello stile, ma si avvicina più alla sportività di certi capi per montagna o trekking, con comfort ed estetica portati al massimo livello. È abbigliamento costituito da capi specifici, ideati in collaborazione con esperti e cacciatori “professionisti”, che oggi fa ricorso a tessuti sempre più avanzati che rendono sopportabile ogni condizione climatica, elastici (gli inglesi li definiscono “stretch”), per conferire una vestibilità slim fit o skinny, aderente e fasciante, comoda per favorire i movimenti. Dietro c’è tanta ricerca, tanta esperienza e un’attenzione particolare anche all’estetica, nel taglio e nella combinazione dei colori che sono però sempre “quelli”.

Niente a che vedere con lo stile inglese, ovviamente, o con quello tedesco che in qualche caso ancora viene “scimmiottato”. Lo stile italiano è finalmente proprio e originale, e soprattutto è frutto della nostra storia, alla nostra cultura, del nostro modo di vivere la montagna, la pianura e la campagna.