Articolo disponibile anche in altre lingue
L’origine
È difficile trovare qualcosa di grossolanamente sbagliato nella Tokarev TT33, che resta un’ottima pistola militare, eppure i primi studi per la sua sostituzione ebbero inizio già del 1939. L’incredibile motivo addotto, da ufficiali abituati al revolver Nagant, fu che era difficile sparare quella pistola attraverso le feritoie dei carri armati.
Durante la guerra quegli stessi ufficiali dovettero rendersi conto che chi stava all’interno di un carro non aveva bisogno di una pistola, ma evidentemente non accettarono del tutto il concetto, visto che un concorso per una nuova pistola fu bandito già nel 1945.
I progetti da sottoporre dovevano avere un calibro di 9 millimetri, e dovevano essere più piccoli e leggeri della TT. Inizialmente si doveva sviluppare anche una variante in 7,65 Browning per l'uso da parte della Militsya (Polizia), ma tale richiesta fu in seguito accantonata in ossequio alla semplificazione, in favore dell'adozione di un calibro unificato.
Alla nuova arma si richiedeva una miglior precisione, unitamente a un’affidabilità migliorata fino al punto di eliminare ogni possibile inconveniente. Naturalmente le munizioni dovevano avere un’energia non inferiore a quella del 7,62 Tokarev.
Le prove a fuoco delle pistole disegnate dai vari progettisti evidenziarono la superiorità della pistola Makarov in 9 millimetri, che fu adottata nel 1951 con la denominazione di 9mm Pistolet Makarov.
L’arma
Per prima cosa occorre dire che si tratta della pistola semiautomatica moderna, tra quelle costruite in acciaio e con impianto tradizionale a cane esterno, che ha il minor numero di pezzi; meno ancora della già molto semplice e rustica Beretta 34.
I componenti sono molto robusti, forse un po’ grezzi ma funzionali ed efficienti.
Oggi molte parti si realizzerebbero col MIM o per sinterizzazione, in questo caso con una sola ripresa successiva, ma quelli della Makarov sono ripresi da fucinati, con un lavoro non semplice e piuttosto costoso.
Il procedimento di sinterizzazione era già in uso negli anni Venti del secolo scorso, almeno in Germania; ancora negli anni '50, tuttavia, l'industria sovietica non era sufficientemente avanzata per l'adozione di queste tecniche, ed anche dopo si sarebbero rivelate troppo complicate e costose. Se i costi della manodopera non erano un problema nell’economia socialista dell’Unione Sovietica, la semplicità produttiva con manodopera non specializzata era per contro determinante, anche perché molti operai esperti erano morti in guerra - nelle fabbriche d’armi, durante la guerra, lavoravano le donne - e rimpiazzarli avrebbe richiesto tempo per consentire un addestramento adeguato. Per questo, per i primi tempi, alcune piccole parti furono macchinate, ed in seguito si optò per la pressofusione.
La pistola è sensibilmente più piccola della Tokarev, come consentito dalla sua cartuccia più corta; l’incremento del diametro della palla conserva buona parte del potere d’arresto della 7,62 pur con una minor velocità alla bocca. La precisione, pur con la canna spinata al fusto consentita dalla scelta di una chiusura labile e dell’abolizione del bushing, resta pari a quella di una Tokarev TT33 in buone condizioni, risultato non da poco dato che le mire sono più ravvicinate. Non è di poco conto, tuttavia, il fatto che la Makarov sia più sicura e più resistente della Tokarev, cosa che ne migliora l'affidabilità in condizioni climatiche estreme.
La pistola dispone di una sicura abbatticane e di un caricatore monofilare della capacità di otto cartucce, conservando quindi la capacità della TT33.
La vista esterna dell’arma, a parte le guancette monopezzo e la sicura abbatticane, non presenta caratteristiche particolari; come sempre la sua intelligenza progettuale si manifesta con lo smontaggio e l’esame dei componenti.
Lo smontaggio da campagna avviene con il sistema Walther, dopo aver rimosso il caricatore e controllato che la pistola sia scarica. Si tira verso il basso il ponticello del grilletto, che è imperniato al fusto nella sua parte posteriore, quindi si arretra il carrello, lo si solleva nella parte posteriore e si sfila verso l’avanti.
Benché questa procedura abbia fatto concludere a taluni che si tratta di una rudimentale copia Walther, non è assolutamente così. L’arma può essere smontata e rimontata a mano, senza uso di attrezzi che non sempre sono disponibili sul campo; l’unica vite presente nell’arma, che trattiene la monoguancetta dell’impugnatura, si può svitare usando il fondello di una cartuccia.
L’impugnatura è in materiale termoindurente, armato sul dorso, all’interno, da un blocchetto metallico nel quale è ricavata la linguetta che agisce sulla vite impedendo che possa allentarsi per via del rinculo. Rimossa la guancetta, appare subito la molla del cane, posta nella parte posteriore del fusto e unita a un’altra molla che all’estremità opposta serve da gancio per il caricatore.
Entrambe sono assicurate al fusto da un manicotto, tenuto a sua volta in posizione dalla vite della guancetta. Se è vero che una grande semplificazione progettuale si ha quando un solo pezzo serve a più funzioni, mentre le complicazioni inutili hanno inizio quando una sola funzione è demandata a più pezzi in cooperazione tra loro, qui siamo nel campo della semplicità assoluta e geniale, visto che la duplice molla e lo sgancio del caricatore sono ottenuti da un’unica bandella opportunamente ripiegata.
Non è l’unica multifunzionalità delle molle, dato che il ritegno del fondello del caricatore, realizzato dal pieno, è tenuto in sede da una ripiegatura del tratto terminale inferiore della molla elevatrice. La rimozione dei componenti interni della pistola è semplicissima; basta girare i pezzi in posizione tale che i perni, integrali, possano uscire dagli appositi alloggiamenti. Un’altra caratteristica originale, intelligente e utile.
La concezione del percussore è eccellente. Si tratta di un cilindro munito di ogiva che è stato scaricato fino a dargli una sezione triangolare. Resta rigidissimo, i punti di attrito all’interno del foro realizzato nel carrello sono minimi e non si romperà mai. Non ha molla di contrasto ed è trattenuto dalla sicura. Questa, che ha anche funzione di abbatticane, a carrello smontato si muove oltre la posizione superiore per poterla estrarre.
Ad arma montata, una sua appendice contrasta con il fusto per cui la leva ha la corsa limitata alle due posizioni di fuoco e sicura, raggiunte con un click. Questo è ottenuto per mezzo di un semplice pezzetto di filo d’acciaio armonico, che si incastra in una sede in cui è trattenuto da una punzonatura.
Per evitare che durante il rinculo del carrello il bossolo sia spinto dal robusto estrattore in una direzione che potrebbe farlo interferire con la cartuccia che sta salendo dal caricatore, l’alloggiamento del fondello sulla faccia dell’otturatore è pressoché completo, interrotto solo da una fresatura che impedisce che una parte metallica possa entrare in contatto con l’innesco durante il caricamento. La cartuccia che sale, nella fase di riarmo, sposta all’indietro il leggero percussore.
La canna, inizialmente a tre diametri mentre successivamente in quello maggiore è stata ricavata la rampa di alimentazione, è inserita in un manicotto, che a sua volta è unito al fusto per chiodatura. Nel manicotto è realizzata la sede in cui alloggia il perno del grilletto, integrale al medesimo. Il grilletto si smonta dal basso, dopo aver abbassato il ponticello.
La soluzione meccanicamente più interessante è rappresentata dalla barra di scatto, che comanda sia la singola sia la doppia azione. Questo componente, di solito, ha forma di una U molto larga e tende a flettersi quando è tirata dal grilletto; questo comporta che i punti di contatto siano variabili. La soluzione Makarov è risolutiva. La barra di scatto, nella sua parte anteriore, ha un segmento cilindrico molto corto e orientato all’indietro anziché disposto a 90 gradi.
Questo segmento si infila nella parte più stretta di un foro conico praticato sul grilletto, per cui la trazione del grilletto avviene sempre nello stesso punto, quello adiacente al lato lungo. Quindi non si hanno flessioni dovute a sforzi sulla parte anteriore della barra. La parte posteriore di essa comanda una corta leva di forma complessa, anch’essa vicinissima alla barra che la fa ruotare fino a disporla in posizione quasi verticale, che provvede alla doppia azione.
Questa leva è munita di due denti, dei quali il primo, quello inferiore, provvede all’inarcamento del cane, mentre quello superiore, a cane al massimo della monta, agisce sul controcane provocando lo scatto. Non si tratta quindi di una doppia azione a scappamento, ma c’è uno sgancio positivo che si serve del controcane.
La peculiarità è che nel ruotare, la piccola leva cambia il momento agente, con una soluzione che non sembra trovare riscontro in alcuna altra arma. Per cui, all’indurimento progressivo della molla a lamina, che non può essere compensato dallo spostamento verso il perno della tigia di una convenzionale molla elicoidale, si rimedia con lo spostamento della leva.
Il vantaggio ottenuto è spiegato nel disegno. Allo spostamento a->b in senso orizzontale della barra di scatto, corrisponde uno spostamento in verticale della leva in ragione di (a->b – (√2-1)).
La progressione non è lineare; a memoria di Roberto Palamà e senza averlo verificato sembra correlata alla cotangente dell’angolo alfa. Nel suo disegno c’è una semplificazione, visto che la traslazione del cane all’inarcamento non avviene secondo una retta ma secondo una curva perché il cane ruota intorno a un perno. Ma quella semplificazione aiuta a capire.
Alla soluzione adottata consegue uno scatto in doppia azione molto pulito, in cui si realizza l’effetto che, nelle batterie per fucili a cani esterni, è ottenuto dall’interposizione della catenella tra cane e molla principale.
Il gioco presente tra barra di scatto e leva della doppia azione serve per la disconnessione, che è laterale. La leva è spostata in dentro dal carrello che rincula e in quel modo interrompe la catena di scatto, che si ripristina, a carrello tornato in posizione, con il rilascio del grilletto. Per via della disconnessione laterale i piani di scatto interessano solo una parte dello spazio teoricamente disponibile: il dente di scatto sul cane interessa circa i tre quarti della sezione del cane stesso.
Nonostante oltre mezzo secolo d'onorato servizio, la Makarov è ancora d’ordinanza in Russia: la nuova Yarygin PYa (o MP-443 "Grach"), camerata per la cartuccia 7N21 in 9x19mm, la sta affiancando gradualmente, e finirà per rimpiazzarla, ma ci vorranno sicuramente degli anni. Il motivo è semplice: ce ne sono ancora troppe in buone condizioni negli arsenali militari russi, e la "macchina da guerra" di tutto l'ex-impero sovietico è sempre restia a dichiarare "obsoleto" un sistema d'arma − motivo per cui, oltre che in Russia, è in servizio anche in altri paesi dell'ex-Patto di Varsavia. La Makarov rimane inoltre un’arma validissima per il porto occulto grazie alle sue dimensioni, e in alcune parti del mondo (ad esempio negli Stati Uniti) sta vivendo una fase di grande ritorno di popolarità in quel ruolo.
L’unico punto critico che si può addebitare all’arma è nella scelta della munizione che, seppure adeguata, con i criteri odierni sembrerebbe di scarsa potenza e che non è facilmente ricaricabile. D’altra parte una soluzione con cartuccia di maggior potenza, adottata in alcune pistole spagnole, renderebbe arduo il maneggio della pistola, come sanno coloro che possiedono una Campo-Giro. La palla ha un diametro di 9,3 millimetri e non è semplice da trovare, ma alcuni produttori ne hanno in catalogo. Quanto al bossolo, lo si ricava accorciando opportunamente un 9x21. Ma attenzione a pesare i bossoli, perché possono essere molto diversi tra loro.